La prima cosa che ho fatto una volta entrato in casa è stata quella di sentirmi in imbarazzo. Parecchio. Ero io quello strano (alto, bianco e con gli occhi tondi) che tutti, ma proprio tutti, guardavano e un po’ deridevano. In ogni caso la situazione dopo poche ore è subito cambiata e per tutta la permanenza mi hanno trattato tutti molto bene, trattandomi come un principino, ma prendendomi in giro ogni tanto. La zia di John, che ci ospitava, è la sorella di sua mamma. Ha una casa costituita da 3 camere da letto, un bagno, un soggiorno e basta. La cucina era esterna, sotto una tettoia, perché così gli odori stanno già fuori e non dentro in casa (sono furbi i filippini eh). Oltre a cucinare, tutti i pasti venivano consumati all’esterno, visto che la temperatura durante l’anno è sempre abbastanza calda, e così la mia prima cena in famiglia è passata mentre tutti i presenti mi fissavano straniti.
È il 25 Ottobre e d’ora in avanti la prerogativa è quella di rilassarsi un po’ e girare con i parenti. Così abbiamo fatto tutta la giornata. Durante la mattina mi sono messo al computer per archiviare un po’ delle foto scattate nelle due settimane precedenti, con una divertente intromissione di Hersha, una delle nipoti di John, che cercava di comunicare con me, solo che parlava solo in tagallog e io cercavo di farmi capire in inglese. Una cosa difficilissima. Nel pomeriggio abbiamo fatto una camminatina con le due nipotine di “tito Jhan Jhan” (l’altra nipotina si chiama Pancià) nei terreni dietro la loro casa.

Rientrati a casa uno dei cugini di John mi chiede se ho mai mangiato degli insetti e si propone di cucinarli per me. Io accetto e dopo qualche minuto in friggitrice, sono pronti per entrare nel mio stomaco d’acciaio.

Ero li per provare le cose che non avrei mai provato in Italia, quindi mi sentivo abbastanza in dovere di provarli. Ne ho mangiati alcuni. La domanda che tutti poi mi hanno fatto è sempre la stessa: “ma di cosa sanno?”. La risposta è pure la stessa. Se friggi qualcosa, quella cosa saprà sempre di fritto. Era come mangiare patatine fritte ma un po’ più amarognole ecco. Poi abbiamo continuato a mangiare altri cibi filippini (che alla fine sono tutti a base di riso, verdura, carne di maiale, carne di pollo e carne di mucca). Dopo cena, anche ai campagnoli piace bere e quindi si va di berrette e gin finché non finiscono le bottiglie. Dopo di che, tutti a nanna.
Una grossa differenza l’ho notata la mattina dopo. L’ora della sveglia. Ore 5 meno un quarto. Tutti svegli. La vita in queste zone ha lo stesso orario del sole, quindi si svegliano un sacco presto e vanno a dormire presto (di solito), ma mentre ero io li, si andava a dormire verso mezzanotte, dormendo così si e no 5 ore a notte.
Il 26 ottobre però ci siamo svegliati un sacco presto per poter andare assieme alla zia e agli altri parenti a fare un poi’ di “turismo locale” (in pratica a visitare delle zone turistiche si, ma non tanto rinomate come quelle che fanno vedere in tutto il mondo. Tipo Lignano Riviera per i friulani). Abbiamo fatto 5 ore di viaggio in macchina (nota interessante: la loro macchina era un suv e poteva tenere fino a 8 persone. Nel bagagliaio hanno tipo dei sedili dove possono far sedere la gente. E tutto questo è legale), fatto colazione mangiando pollo fritto, riso e uovo in un fast food (oh ma davvero, sono buoni i loro fast food, mica come quelli italiani!) e poi raggiunto le “hundred island”, una zona dove ci sono centinaia di piccole isolette e della barchette (scassatissime) che ti permettono di fare un tour.

Nemmeno il tempo di parcheggiare la macchina e attorno a noi avevamo 8 venditori ambulanti di cianfrusaglie. Non sto scherzando. Erano davvero in 8 tutti attorno alla nostra macchina. Abbiamo passato poi la nostra giornata tra queste isole, salendo e scendendo da una barca che galleggiava si e no, ma della quale tutti si fidavano perché “se una cosa è vecchia e ha resistito, vuol dire che funziona bene” (contenti loro, contenti tutti, tranne me).
Una volta concluso questo tour tra le isole, ci siamo rimessi in strada e abbiamo percorso sentieri (perché nemmeno erano strade) sconnessi. John mi aveva anticipato che la sua zia aveva prenotato delle camere per tutti e 8 noi presenti sulla macchina. Chissà dove stavamo andando. Le luci si iniziavano a vedere sempre di meno, il cemento pure. Nel buio, ad un bivio, tra i rami degli alberi notiamo un cartello con la scritta “Oldwood”: era la nostra destinazione. Proseguiamo e troviamo un “parcheggio”. Scendiamo dalla macchina un po’ dubbiosi e… di fronte a noi un intero resort fatto quasi ed esclusivamente in legno. Una cosa impressionante. Tiro fuori il telefono per scattare qualche foto e mi accorgo che non c’era segnale. Poco dopo ci avvisano che eravamo anche senza wifi. Da un punto di vista era fantastico essere in un posto così bello e così disperso senza aver niente da condividere sui social o comunque essere distratti da altre cose, dall’altro mi stavo preoccupando della reazione che avrebbero avuto i miei genitori e la mia fidanzata quando avrebbero notato che non gli avrei risposto per quasi 36 ore.
Messo da parte il secondo pensiero e mi sono goduto quelle ore in mezzo al nulla.
Con il buio non riuscivamo a percepire appieno la maestosità della zona, ma già dalla sala dove abbiamo cenato, mi sono accorto che era tutto studiato nei più piccoli dettagli. A cena abbiamo mangiato il solito cibo filippino (ovviamente servito in maniera più carina essendo un luogo abbastanza raffinato) e abbiamo bevuto un buonissimo vino rosso australiano. Ci siamo poi divisi in 2 camere (una per i maschi e una per le donne) e prima di andare a dormire sono andato a scattare qualche foto notturna da una terrazza poco distante dalla nostra camera. la vista non era delle migliori, visto che la via lattea era posizionata proprio nel punto in cui c’erano le luci del resort, però il suono delle onde (eravamo a qualche centinaio di metri dal mare), delle palme e degli insetti della notte, abbinati alle stelle che si potevano vedere ad occhio nudo, facevano davvero un grande effetto.
Siamo andati a dormire e il giorno dopo i miei 3 compagni di stanza, si sono svegliati alle 4 e mezza (il sole doveva ancora sorgere) per fare qualche esercizio, io invece mi sono girato dall’altra parte del letto e mi sono riappisolato. Verso le 8 poi siamo andati tutti a fare colazione per poi dedicarci ad un po’ di sano relax in piscina.
Successivamente siamo scesi (io e Jhon) a vedere la spiaggia al di sotto del resort, sulla quale abbiamo trovato diverse famiglie, una delle quali ci ha pure invitato a mangiare con loro, anche se poi noi gentilmente abbiamo rifiutato e siamo risaliti alla macchina per ripartire nelle ultime tappe del turismo locale.
Siamo prima andati a pranzare su una zattera trainata da una barca lungo un fiume (in 8 persone abbiamo speso 45€ totali, mangiando tanto e bene) e poi andati a vedere un enorme faro (credo fosse abbastanza importante perché c’era parecchia gente in quel posto).
Dopodiché siamo rientrati a Laoac. Nell’ennesimo lunghissimo viaggio ho visto un tricycle girare di notte senza luci ma con un tipo seduto dietro con la torcia puntata davanti per illuminare la strada. Un altro a cui si era spento in corsa, cercava di metterlo in moto mentre 3 bambine di nemmeno 10 anni lo stavano spingendo. Assurdo. Nel tragitto, alla radio, parlano di un tifone che si abbatterò sulle filippine nei prossimi giorni. nessuno dava importanza a questa informazione, e quindi pure io non c’ho dato tanto peso.
Oggi, 28 ottobre, sono stato trascinato ad un pranzo tra parenti per commemorare i loro defunti. Cose strane, ma abbiamo mangiato un sacco. Poi siamo andati a fare la spesa nel mercato e anche li é continuata la solita storia degli sguardi straniti dei locali. Gli zii di John mi “menano” la storia del balut (mi prendono in giro e ripetono “balut” in continuazione ridendo come pazzi) e hanno comprato ancora queste uova. Stasera dovró mangiarlo nuovamente per dimostrargli che posso mangiare quasi tutto. Quasi, perchè certe cose sono davvero disgustose e non riesco nemmeno a pensare di metterle in bocca, per esempio la “one day duck” che dal nome potrete ben capire di cosa si tratta. un pulcino d’anatra (credo davvero che le odino) di un giorno di vita ucciso, spiumato e poi fritto e mangiato. per enfatizzare la cosa mi hanno poi anche detto “e quando hai finito usi il becco come stuzzicadenti”. Ecco, questa è l’unica cosa che ho rifiutato.
Arriva ora di cena e il balut me lo sono mangiato senza problemi, e i parenti muuuti. Mi viene da dire che questi filippini sono un po’ come i meridionali in italia. Mangiano davvero un sacco e urlano tantissimo.

L’allerta meteo delle Filippine si aggiorna di ora in ora e pare che passerà un tifone giusto uno nei prossimi giorni (ne mancano pochi alla mia partenza), proprio sopra le nostre teste e nella mia mente inizia a comparire un nome: ROSITA.

Un po’ mi sto cacando sotto, ma qua sono tutti tranquillissimi, così tranquilli che stiamo andando a fare una gita a Baguio (città nella quale sono già passato arrivando da Banaue). Abbiamo visitato prima il cimitero di Baguio (stava per arrivare il primo di Novembre e loro ci tengono davvero un sacco ai loro cari defunti) per andare a trovare dei parenti seppelliti li. La cosa che ho notato e che mi ha divertito è stato il diverso modo di approcciarsi ai defunti. In Italia (o almeno nei cimiteri dove sono stato io) vige il silenzio, il rispetto dell’eterna quiete. La nelle Filippine (ma credo anche in altre parti del mondo) ridono, scherzano, ricordano i loro cari, mangiano con loro (questo di più i cinesi, c’erano anche loro in questo enorme cimitero). Prendono la cosa molto più felicemente ed è una bella cosa a pensarci bene. Dopo queste gite nei cimiteri di Baguio, io e John andiamo a girare un po’ per la città da soli, ritrovandoci solo nel pomeriggio con tutti gli altri parenti.
Ho assaggiato altri cibi strani (frutti tropicali tipo melograni ma con l’interno bianco/trasparente e dei calamari essicati, scaldati e poi immersi nell’aceto – una merda) e abbiamo visitato delle zone supertrafficate di gente, quasi come Manila, ma eravamo “solo” in una capitale delle montagne.
Abbiamo lasciato dei parenti per qualche giorno nella città e siamo tornati indietro solo Io, John, la zia e i suoi due figli (che hanno entrambi sui 30 anni). Nel tragitto ho assistito ad un tramonto fantasmagorico e che sono riuscito ad immortalare dal finestrino della macchina.

La sera, prima di rincasare, siamo andati a mangiare nel fast food preferito dai filippini: “jollibee”. C’era un tipo travestito da ape che ballava ad una festa di compleanno. Ero in pena per lui. Non vorrei mai fare quel lavoro.
Torniamo a casa e si inizia a sentire il fresco nell’aria. La temperatura si era abbassata notevolmente e il vento iniziava ad ingrossarsi. Il tifone era alle porte.
La notte è passata molto velocemente e alle 5 e mezza eravamo già in piedi. Fuori l’aria soffiava ancora forte e John senza fastidio alcuno stava cucinando la colazione (devo ammettere che è bravo ai fornelli). Alle 6 e mezza, al vento, inizia ad aggiungersi la pioggia. La giornata non cambia minimamente a livello meteo e noi ci dedichiamo a passare la giornata facendo niente.
All’inizio avevo molta più paura del tifone, ma adesso mi sento leggermente più tranquillo. Fortunatamente il centro si è spostato più a nord rispetto a dove eravamo noi, quindi siamo salvi (in realtà loro – i filippini – lo sapevano già, per questo erano calmi). La giornata vola all’insegna dello scazzo. Nessuno esce al di fuori di casa però (ordine supremo della zia), si sta dentro a polleggiare, mangiare e guardare film in inglese/filippino. Qua (con 25ºC) hanno preparato una sottospecie di cioccolata calda con latte e… riso! Lo usano davvero ovunque!
Mancano davvero pochi giorni al mio rientro e stanno iniziando a sorgermi dei dubbi. Come farò a tornare indietro alla vita di tutti i giorni dopo aver vissuto 3 settimane così intensamente?
A 2 giorni dalla mia partenza, John e i suoi parenti mi hanno portato in un supermercato li vicino prima per far giocare le bimbe nella sala giochi (a dire il vero anche noi grandi abbiamo giocato) e poi per farmi una “sorpresa”: cibo “””italiano””” (o almeno così lo descrivono). Hanno ordinato pasta e pizza. Ma confesso che non hanno niente a che vedere con il nostro cibo (dico solo “carbonara” senza uovo). Spacciano molto spesso “a taste of Italy” cose che in Italia non esistono nemmeno. Mi è venuta voglia della pastasciutta con il ragù di carne, una pizza di quelle buone con il pomodoro e un cotechino di quelli buoni fatti dalla mia nonna.

Nel pomeriggio poi siamo andati alla ricerca di un tramonto sempre nei campi dietro casa, ma i problemi erano 2: avevano appena vangato la terra nelle risaie (un pantano assurdo) e nel cielo c’erano nuvole. Risultato? Piedi smerdati alla grande e zero foto al tramonto. In compenso abbiamo combinato un passaggio su un motocoltivatore+carro quasi fino a casa, il che è stata una grande fortuna per evitare di stare in mezzo al nulla nel buio.
In compenso tornati a casa abbiamo cenato, mangiato dolci e bevuto gin alla filippino way (mi ero preso abbastanza bene, devo ammetterlo).
Arriva il primo di Novembre. In generale sono tutti molto credenti qua e credono nel culto dei morti, motivo per cui siamo andati tutti a trovare i defunti al cimitero di Laoac. Tra quesiti cera anche il marito della zia, nonché il padre dei due cugini di John. Io l’ho capito solo dopo qualche giorno dal mio arrivo. Nonostante questo vedevo tutti sereni e felici. Nessuna lacrima riversata. Anzi. Il clima era tutto opposto alla tristezza. Musica, risate, cibo, bevande, fiori. tutto in un cimitero. Era divertente a dire il vero. C’erano pure le bancarelle (quelle fuori dalle mura del cimitero per fortuna) che vendevano ogni cosa. In una d queste vendono il cocco. Il vero cocco. Quello fresco davvero. Quello tirato giù dall’albero e che te lo vendono a 45 pesos (meno di un euro) e dal quale bevi il succo e mangi la polpa. Non il “coooccco bello, coooocco fresco” che ti danno a Lignano per 2 euro a spicchio. Quello lo usano qua solo per fare il latte di cocco.
Avrei potuto fare davvero un sacco di foto belle alla gente che c’era li. Non mi sembrava opportuno peró. Credo ancora nel rispetto delle tradizioni, per cui ho preferito lasciare a casa la reflex e guardare tutto e solo con gli occhi. Poi ho recuperato con alcune foto per strada.
Rientriamo a casa e la cugina di John ci spiega che per la sera voleva organizzare dei giochi per tutti. Mi sono sentito tornare un po’ come un ragazzino al campo estivo. Era divertente. Davvero. Mi sentivo felice di ogni piccola cosa che avevo fatto e che stavo facendo. Dopo aver fatto i giochi, gli scherzi e un regalo (loro me lo hanno fatto, mi hanno regalato un cappello con raffigurate le isole delle filippine), siamo tornati a concludere la mia ultima serata con un po’ di gin e birrette.
Ultima giornata qua per me. Colazione. Solita abbondante e proteica. Mi faccio il caffè solubile (fa schifo, ma quello hanno a disposizione) e mi accorgo di una frase sul thermos :”be happy for this moment. This moment is your life”. Questo è un ottimo modo per riassumere queste 3 settimane passate nelle filippine.

Lascio una busta con un po’ di soldi alla zia per ringraziarla di tutto quello che ha fatto per me in quella settimana a casa sua. Le dico di aprirla solo dopo la mia partenza, visto che mi avrebbero accompagnato in aeroporto John e i suoi cugini. Siamo in autostrada e la zia chiama dicendo ai suoi figli di pagarmi tutto perché avevo lasciato troppi soldi secondo lei. Io insisto e pago comunque l’autostrada visto che comunque avrebbero dovuto ripercorrerla senza di me al ritorno.
Arriviamo all’aereoporto e prima di entrare andiamo a fare uno spuntino (sempre affamati nelle filippine) e mi accorgo di un piccolo particolare che mi riporta a casa.

Saluto tutti e li ringrazio. Stacco la sim filippina, quindi ero senza internet sul cellulare. Passo i controlli, aspetto un’oretta circa e salgo sul primo volo. Arrivo a Dubai alle 2 e mezza di notte.
Aspetto.
Tanto.
8 interminabili ore.
Nel frattempo monto dei video idiotismi registrati con la Gopro, per fare un qualcosa di visibile da mostrare a quelle persone che mi chiederanno “ma cosa hai fatto nelle filippine?”.
Passano le ore e mi sono stufato pure di fare i video. Ascolto musica. Cammino un po’ su e giù per l’aeroporto. Mi stendo in una panchina. Cerco di dormire ma nn ci riesco. Socchiudo gli occhi ma i rumori mi distraggono. Ormai sono le 7 di mattina. Mi alzo e vado ad ordinare un caffè ed una ciambella al bar più vicino. Non capisco quale sia la valuta e pago con la carta. Leggo in 24 sullo scontrino, spero non siano ne dollari ne euro.
Passo un po’ di tempo a pensarci e poi me ne dimentico, per fortuna. Arrivano le 8 e mezza e mi presento al gate per partire con il secondo aereo. Salgo e non vedo l’ora di atterrare.

È stato un volo infinito. Lunghissimo. Scendo a Venezia e attendo i bagagli. Attraverso la porta e ad attendermi ci sono mio padre e mia sorella. Sono felice. nonostante non riuscissero a stare almeno 2 giorni lontani dal chiamarmi o scrivermi, mi erano mancati. Stranamente la temperatura fuori dall’aereoporto era calda e il mio abbigliamento (felpa e pantaloni corti) era quasi consono al clima. Arriviamo a casa e ad attendermi assieme a mia madre c’era una bellissima e buonissima pastasciuttona che mi aspettava. Non avevo mai mangiato così di gusto una pastasciutta. Resisto ancora qualche ora di quel sabato 3 Novembre, ma alle 6 di pomeriggio crollo nel sonno, svegliandomi direttamente Domenica alle 8 di mattina. Recupero le mie cose e passo la giornata ad aiutare la mia fidanzata a traslocare casa (mentre ero via ha trovato una casa migliore e come regalo mi sono preso l’affidamento del trasloco degli scatoloni). Ero ancora tutto frastornato. Tra il poco sonno dei giorni precedenti, il cibo, le persone. Era tutta una confusione per me.
Non mi sentivo del tutto a casa. Lunedì vado subito a lavoro. Leggo le mail, telefonate, caffè, riunioni, lavori (tutto già come era prima). Finisce la giornata e fuori è buio. Torno a casa. Percorro la solita strada e ad un tratto lo vedo.
Lui. Alto, luminoso, imponente.
L’unico nell’arco di diverse decine di chilometri.
Il campanile di Mortegliano.
Sorrido. Sembrerò stupido, ma davvero, vedere quel campanile mi ha fatto sentire a casa mia.
In Friuli.
Dopo tutto questo raccontare cose successe voglio tirare un po’ di riflessioni riguardo quanto ho visto e vissuto. Credo che un viaggio nel sud est asiatico, alla ricerca della vera vita (e non solo alla ricerca di destinazioni esotiche) sia una delle cose più belle da fare per poter apprezzare dei valori reali che nel mondo occidentale stiamo perdendo. Ho fatto il guardone per 3 settimane, osservando i comportamenti delle persone che chi ospitavano, che mi guardavano, che ci parlavano. Tutte hanno una caratteristica comune. Meno hanno, più sono disposte a donare.