Il mio viaggio nelle “Philippines” – part 5

La prima cosa che ho fatto una volta entrato in casa è stata quella di sentirmi in imbarazzo. Parecchio. Ero io quello strano (alto, bianco e con gli occhi tondi) che tutti, ma proprio tutti, guardavano e un po’ deridevano. In ogni caso la situazione dopo poche ore è subito cambiata e per tutta la permanenza mi hanno trattato tutti molto bene, trattandomi come un principino, ma prendendomi in giro ogni tanto. La zia di John, che ci ospitava, è la sorella di sua mamma. Ha una casa costituita da 3 camere da letto, un bagno, un soggiorno e basta. La cucina era esterna, sotto una tettoia, perché così gli odori stanno già fuori e non dentro in casa (sono furbi i filippini eh). Oltre a cucinare, tutti i pasti venivano consumati all’esterno, visto che la temperatura durante l’anno è sempre abbastanza calda, e così la mia prima cena in famiglia è passata mentre tutti i presenti mi fissavano straniti.

È il 25 Ottobre e d’ora in avanti la prerogativa è quella di rilassarsi un po’ e girare con i parenti. Così abbiamo fatto tutta la giornata. Durante la mattina mi sono messo al computer per archiviare un po’ delle foto scattate nelle due settimane precedenti, con una divertente intromissione di Hersha, una delle nipoti di John, che cercava di comunicare con me, solo che parlava solo in tagallog e io cercavo di farmi capire in inglese. Una cosa difficilissima. Nel pomeriggio abbiamo fatto una camminatina con le due nipotine di “tito Jhan Jhan” (l’altra nipotina si chiama Pancià) nei terreni dietro la loro casa.

Rientrati a casa uno dei cugini di John mi chiede se ho mai mangiato degli insetti e si propone di cucinarli per me. Io accetto e dopo qualche minuto in friggitrice, sono pronti per entrare nel mio stomaco d’acciaio.

Ero li per provare le cose che non avrei mai provato in Italia, quindi mi sentivo abbastanza in dovere di provarli. Ne ho mangiati alcuni. La domanda che tutti poi mi hanno fatto è sempre la stessa: “ma di cosa sanno?”. La risposta è pure la stessa. Se friggi qualcosa, quella cosa saprà sempre di fritto. Era come mangiare patatine fritte ma un po’ più amarognole ecco. Poi abbiamo continuato a mangiare altri cibi filippini (che alla fine sono tutti a base di riso, verdura, carne di maiale, carne di pollo e carne di mucca). Dopo cena, anche ai campagnoli piace bere e quindi si va di berrette e gin finché non finiscono le bottiglie. Dopo di che, tutti a nanna. 

Una grossa differenza l’ho notata la mattina dopo. L’ora della sveglia. Ore 5 meno un quarto. Tutti svegli. La vita in queste zone ha lo stesso orario del sole, quindi si svegliano un sacco presto e vanno a dormire presto (di solito), ma mentre ero io li, si andava a dormire verso mezzanotte, dormendo così si e no 5 ore a notte.

Il 26 ottobre però ci siamo svegliati un sacco presto per poter andare assieme alla zia e agli altri parenti a fare un poi’ di “turismo locale” (in pratica a visitare delle zone turistiche si, ma non tanto rinomate come quelle che fanno vedere in tutto il mondo. Tipo Lignano Riviera per i friulani). Abbiamo fatto 5 ore di viaggio in macchina (nota interessante: la loro macchina era un suv e poteva tenere fino a 8 persone. Nel bagagliaio hanno tipo dei sedili dove possono far sedere la gente. E tutto questo è legale), fatto colazione mangiando pollo fritto, riso e uovo in un fast food (oh ma davvero, sono buoni i loro fast food, mica come quelli italiani!) e poi raggiunto le “hundred island”, una zona dove ci sono centinaia di piccole isolette e della barchette (scassatissime) che ti permettono di fare un tour.

Nemmeno il tempo di parcheggiare la macchina e attorno a noi avevamo 8 venditori ambulanti di cianfrusaglie. Non sto scherzando. Erano davvero in 8 tutti attorno alla nostra macchina. Abbiamo passato poi la nostra giornata tra queste isole, salendo e scendendo da una barca che galleggiava si e no, ma della quale tutti si fidavano perché “se una cosa è vecchia e ha resistito, vuol dire che funziona bene” (contenti loro, contenti tutti, tranne me).

Una volta concluso questo tour tra le isole, ci siamo rimessi in strada e abbiamo percorso sentieri (perché nemmeno erano strade) sconnessi. John mi aveva anticipato che la sua zia aveva prenotato delle camere per tutti e 8 noi presenti sulla macchina. Chissà dove stavamo andando. Le luci si iniziavano a vedere sempre di meno, il cemento pure. Nel buio, ad un bivio, tra i rami degli alberi notiamo un cartello con la scritta “Oldwood”: era la nostra destinazione. Proseguiamo e troviamo un “parcheggio”. Scendiamo dalla macchina un po’ dubbiosi e… di fronte a noi un intero resort fatto quasi ed esclusivamente in legno. Una cosa impressionante. Tiro fuori il telefono per scattare qualche foto e mi accorgo che non c’era segnale. Poco dopo ci avvisano che eravamo anche senza wifi. Da un punto di vista era fantastico essere in un posto così bello e così disperso senza aver niente da condividere sui social o comunque essere distratti da altre cose, dall’altro mi stavo preoccupando della reazione che avrebbero avuto i miei genitori e la mia fidanzata quando avrebbero notato che non gli avrei risposto per quasi 36 ore. 

Messo da parte il secondo pensiero e mi sono goduto quelle ore in mezzo al nulla. 

Con il buio non riuscivamo a percepire appieno la maestosità della zona, ma già dalla sala dove abbiamo cenato, mi sono accorto che era tutto studiato nei più piccoli dettagli. A cena abbiamo mangiato il solito cibo filippino (ovviamente servito in maniera più carina essendo un luogo abbastanza raffinato) e abbiamo bevuto un buonissimo vino rosso australiano. Ci siamo poi divisi in 2 camere (una per i maschi e una per le donne) e prima di andare a dormire sono andato a scattare qualche foto notturna da una terrazza poco distante dalla nostra camera. la vista non era delle migliori, visto che la via lattea era posizionata proprio nel punto in cui c’erano le luci del resort, però il suono delle onde (eravamo a qualche centinaio di metri dal mare), delle palme e degli insetti della notte, abbinati alle stelle che si potevano vedere ad occhio nudo, facevano davvero un grande effetto.

Siamo andati a dormire e il giorno dopo i miei 3 compagni di stanza, si sono svegliati  alle 4 e mezza (il sole doveva ancora sorgere) per fare qualche esercizio, io invece mi sono girato dall’altra parte del letto e mi sono riappisolato. Verso le 8 poi siamo andati tutti a fare colazione per poi dedicarci ad un po’ di sano relax in piscina.

Successivamente siamo scesi (io e Jhon) a vedere la spiaggia al di sotto del resort, sulla quale abbiamo trovato diverse famiglie, una delle quali ci ha pure invitato a mangiare con loro, anche se poi noi gentilmente abbiamo rifiutato e siamo risaliti alla macchina per ripartire nelle ultime tappe del turismo locale.

Siamo prima andati a pranzare su una zattera trainata da una barca lungo un fiume (in 8 persone abbiamo speso 45€ totali, mangiando tanto e bene) e poi andati a vedere un enorme faro (credo fosse abbastanza importante perché c’era parecchia gente in quel posto).

Dopodiché siamo rientrati a Laoac. Nell’ennesimo lunghissimo viaggio ho visto un tricycle girare di notte senza luci ma con un tipo seduto dietro con la torcia puntata davanti per illuminare la strada. Un altro a cui si era spento in corsa, cercava di metterlo in moto mentre 3 bambine di nemmeno 10 anni lo stavano spingendo. Assurdo. Nel tragitto, alla radio, parlano di un tifone che si abbatterò sulle filippine nei prossimi giorni. nessuno dava importanza a questa informazione, e quindi pure io non c’ho dato tanto peso.

Oggi, 28 ottobre, sono stato trascinato ad un pranzo tra parenti per commemorare i loro defunti. Cose strane, ma abbiamo mangiato un sacco. Poi siamo andati a fare la spesa nel mercato e anche li é continuata la solita storia degli sguardi straniti dei locali. Gli zii di John mi “menano” la storia del balut (mi prendono in giro e ripetono “balut” in continuazione ridendo come pazzi) e hanno comprato ancora queste uova. Stasera dovró mangiarlo nuovamente per dimostrargli che posso mangiare quasi tutto. Quasi, perchè certe cose sono davvero disgustose e non riesco nemmeno a pensare di metterle in bocca, per esempio la “one day duck” che dal nome potrete ben capire di cosa si tratta. un pulcino d’anatra (credo davvero che le odino) di un giorno di vita ucciso, spiumato e poi fritto e mangiato. per enfatizzare la cosa mi hanno poi anche detto “e quando hai finito usi il becco come stuzzicadenti”. Ecco, questa è l’unica cosa che ho rifiutato.

Arriva ora di cena e il balut me lo sono mangiato senza problemi, e i parenti muuuti. Mi viene da dire che questi filippini sono un po’ come i meridionali in italia. Mangiano davvero un sacco e urlano tantissimo.

L’allerta meteo delle Filippine si aggiorna di ora in ora e pare che passerà un tifone giusto uno nei prossimi giorni (ne mancano pochi alla mia partenza), proprio sopra le nostre teste e nella mia mente inizia a comparire un nome: ROSITA.

Un po’ mi sto cacando sotto, ma qua sono tutti tranquillissimi, così tranquilli che stiamo andando a fare una gita a Baguio (città nella quale sono già passato arrivando da Banaue). Abbiamo visitato prima il cimitero di Baguio (stava per arrivare il primo di Novembre e loro ci tengono davvero un sacco ai loro cari defunti) per andare a trovare dei parenti seppelliti li. La cosa che ho notato e che mi ha divertito è stato il diverso modo di approcciarsi ai defunti. In Italia (o almeno nei cimiteri dove sono stato io) vige il silenzio, il rispetto dell’eterna quiete. La nelle Filippine (ma credo anche in altre parti del mondo) ridono, scherzano, ricordano i loro cari, mangiano con loro (questo di più i cinesi, c’erano anche loro in questo enorme cimitero). Prendono la cosa molto più felicemente ed è una bella cosa a pensarci bene. Dopo queste gite nei cimiteri di Baguio, io e John andiamo a girare un po’ per la città da soli, ritrovandoci solo nel pomeriggio con tutti gli altri parenti. 

Ho assaggiato altri cibi strani (frutti tropicali tipo melograni ma con l’interno bianco/trasparente e  dei calamari essicati, scaldati e poi immersi nell’aceto – una merda) e abbiamo visitato delle zone supertrafficate di gente, quasi come Manila, ma eravamo “solo” in una capitale delle montagne.

Abbiamo lasciato dei parenti per qualche giorno nella città e siamo tornati indietro solo Io, John, la zia e i suoi due figli (che hanno entrambi sui 30 anni). Nel tragitto ho assistito ad un tramonto fantasmagorico e che sono riuscito ad immortalare dal finestrino della macchina.

La sera, prima di rincasare, siamo andati a mangiare nel fast food preferito dai filippini: “jollibee”. C’era un tipo travestito da ape che ballava ad una festa di compleanno. Ero in pena per lui. Non vorrei mai fare quel lavoro.

Torniamo a casa e si inizia a sentire il fresco nell’aria. La temperatura si era abbassata notevolmente e il vento iniziava ad ingrossarsi. Il tifone era alle porte. 

La notte è passata molto velocemente e alle 5 e mezza eravamo già in piedi. Fuori l’aria soffiava ancora forte e John senza fastidio alcuno stava cucinando la colazione (devo ammettere che è bravo ai fornelli). Alle 6 e mezza, al vento, inizia ad aggiungersi la pioggia. La giornata non cambia minimamente a livello meteo e noi ci dedichiamo a passare la giornata facendo niente.

All’inizio avevo molta più paura del tifone, ma adesso mi sento leggermente più tranquillo. Fortunatamente il centro si è spostato più a nord rispetto a dove eravamo noi, quindi siamo salvi (in realtà loro – i filippini – lo sapevano già, per questo erano calmi). La giornata vola all’insegna dello scazzo. Nessuno esce al di fuori di casa però (ordine supremo della zia), si sta dentro a polleggiare, mangiare e guardare film in inglese/filippino. Qua (con 25ºC) hanno preparato una sottospecie di cioccolata calda con latte e… riso! Lo usano davvero ovunque!

Mancano davvero pochi giorni al mio rientro e stanno iniziando a sorgermi dei dubbi. Come farò a tornare indietro alla vita di tutti i giorni dopo aver vissuto 3 settimane così intensamente?

A 2 giorni dalla mia partenza, John e i suoi parenti mi hanno portato in un supermercato li vicino prima per far giocare le bimbe nella sala giochi (a dire il vero anche noi grandi abbiamo giocato) e poi per farmi una “sorpresa”: cibo “””italiano””” (o almeno così lo descrivono). Hanno ordinato pasta e pizza. Ma confesso che non hanno niente a che vedere con il nostro cibo (dico solo “carbonara” senza uovo). Spacciano molto spesso “a taste of Italy” cose che in Italia non esistono nemmeno. Mi è venuta voglia della pastasciutta con il ragù di carne, una pizza di quelle buone con il pomodoro e un cotechino di quelli buoni fatti dalla mia nonna. 

Nel pomeriggio poi siamo andati alla ricerca di un tramonto sempre nei campi dietro casa, ma i problemi erano 2: avevano appena vangato la terra nelle risaie (un pantano assurdo) e nel cielo c’erano nuvole. Risultato? Piedi smerdati alla grande e zero foto al tramonto. In compenso abbiamo combinato un passaggio su un motocoltivatore+carro quasi fino a casa, il che è stata una grande fortuna per evitare di stare in mezzo al nulla nel buio.

In compenso tornati a casa abbiamo cenato, mangiato dolci e bevuto gin alla filippino way (mi ero preso abbastanza bene, devo ammetterlo).

Arriva il primo di Novembre. In generale sono tutti molto credenti qua e credono nel culto dei morti, motivo per cui siamo andati tutti a trovare i defunti al cimitero di Laoac. Tra quesiti cera anche il marito della zia, nonché il padre dei due cugini di John. Io l’ho capito solo dopo qualche giorno dal mio arrivo. Nonostante questo vedevo tutti sereni e felici. Nessuna lacrima riversata. Anzi. Il clima era tutto opposto alla tristezza. Musica, risate, cibo, bevande, fiori. tutto in un cimitero. Era divertente a dire il vero. C’erano pure le bancarelle (quelle fuori dalle mura del cimitero per fortuna) che vendevano ogni cosa. In una d queste vendono il cocco. Il vero cocco. Quello fresco davvero. Quello tirato giù dall’albero e che te lo vendono a 45 pesos (meno di un euro) e dal quale bevi il succo e mangi la polpa. Non il “coooccco bello, coooocco fresco” che ti danno a Lignano per 2 euro a spicchio. Quello lo usano qua solo per fare il latte di cocco. 

Avrei potuto fare davvero un sacco di foto belle alla gente che c’era li. Non mi sembrava opportuno peró. Credo ancora nel rispetto delle tradizioni, per cui ho preferito lasciare a casa la reflex e guardare tutto e solo con gli occhi. Poi ho recuperato con alcune foto per strada.

Rientriamo a casa e la cugina di John ci spiega che per la sera voleva organizzare dei giochi per tutti. Mi sono sentito tornare un po’ come un ragazzino al campo estivo. Era divertente. Davvero. Mi sentivo felice di ogni piccola cosa che avevo fatto e che stavo facendo. Dopo aver fatto i giochi, gli scherzi e un regalo (loro me lo hanno fatto, mi hanno regalato un cappello con raffigurate le isole delle filippine), siamo tornati a concludere la mia ultima serata con un po’ di gin e birrette.

Ultima giornata qua per me. Colazione. Solita abbondante e proteica. Mi faccio il caffè solubile (fa schifo, ma quello hanno a disposizione) e mi accorgo di una frase sul thermos :”be happy for this moment. This moment is your life”. Questo è un ottimo modo per riassumere queste 3 settimane passate nelle filippine. 

Lascio una busta con un po’ di soldi alla zia per ringraziarla di tutto quello che ha fatto per me in quella settimana a casa sua. Le dico di aprirla solo dopo la mia partenza, visto che mi avrebbero accompagnato in aeroporto John e i suoi cugini. Siamo in autostrada e la zia chiama dicendo ai suoi figli di pagarmi tutto perché avevo lasciato troppi soldi secondo lei. Io insisto e pago comunque l’autostrada visto che comunque avrebbero dovuto ripercorrerla senza di me al ritorno. 

Arriviamo all’aereoporto e prima di entrare andiamo a fare uno spuntino (sempre affamati nelle filippine) e mi accorgo di un piccolo particolare che mi riporta a casa.

Saluto tutti e li ringrazio. Stacco la sim filippina, quindi ero senza internet sul cellulare. Passo i controlli, aspetto un’oretta circa e salgo sul primo volo. Arrivo a Dubai alle 2 e mezza di notte.
Aspetto.
Tanto.
8 interminabili ore.
Nel frattempo monto dei video idiotismi registrati con la Gopro, per fare un qualcosa di visibile da mostrare a quelle persone che mi chiederanno “ma cosa hai fatto nelle filippine?”.
Passano le ore e mi sono stufato pure di fare i video. Ascolto musica. Cammino un po’ su e giù per l’aeroporto. Mi stendo in una panchina. Cerco di dormire ma nn ci riesco. Socchiudo gli occhi ma i rumori mi distraggono. Ormai sono le 7 di mattina. Mi alzo e vado ad ordinare un caffè ed una ciambella al bar più vicino. Non capisco quale sia la valuta e pago con la carta. Leggo in 24 sullo scontrino, spero non siano ne dollari ne euro.
Passo un po’ di tempo a pensarci e poi me ne dimentico, per fortuna. Arrivano le 8 e mezza e mi presento al gate per partire con il secondo aereo. Salgo e non vedo l’ora di atterrare.

È stato un volo infinito. Lunghissimo. Scendo a Venezia e attendo i bagagli. Attraverso la porta e ad attendermi ci sono mio padre e mia sorella. Sono felice. nonostante non riuscissero a stare almeno 2 giorni lontani dal chiamarmi o scrivermi, mi erano mancati. Stranamente la temperatura fuori dall’aereoporto era calda e il mio abbigliamento (felpa e pantaloni corti) era quasi consono al clima. Arriviamo a casa e ad attendermi assieme a mia madre c’era una bellissima e buonissima pastasciuttona che mi aspettava. Non avevo mai mangiato così di gusto una pastasciutta. Resisto ancora qualche ora di quel sabato 3 Novembre, ma alle 6 di pomeriggio crollo nel sonno, svegliandomi direttamente Domenica alle 8 di mattina. Recupero le mie cose e passo la giornata ad aiutare la mia fidanzata a traslocare casa (mentre ero via ha trovato una casa migliore e come regalo mi sono preso l’affidamento del trasloco degli scatoloni). Ero ancora tutto frastornato. Tra il poco sonno dei giorni precedenti, il cibo, le persone. Era tutta una confusione per me.
Non mi sentivo del tutto a casa. Lunedì vado subito a lavoro. Leggo le mail, telefonate, caffè, riunioni, lavori (tutto già come era prima). Finisce la giornata e fuori è buio. Torno a casa. Percorro la solita strada e ad un tratto lo vedo.
Lui. Alto, luminoso, imponente.
L’unico nell’arco di diverse decine di chilometri.
Il campanile di Mortegliano.
Sorrido. Sembrerò stupido, ma davvero, vedere quel campanile mi ha fatto sentire a casa mia.

In Friuli.

Dopo tutto questo raccontare cose successe voglio tirare un po’ di riflessioni riguardo quanto ho visto e vissuto. Credo che un viaggio nel sud est asiatico, alla ricerca della vera vita (e non solo alla ricerca di destinazioni esotiche) sia una delle cose più belle da fare per poter apprezzare dei valori reali che nel mondo occidentale stiamo perdendo. Ho fatto il guardone per 3 settimane, osservando i comportamenti delle persone che chi ospitavano, che mi guardavano, che ci parlavano. Tutte hanno una caratteristica comune. Meno hanno, più sono disposte a donare.    

Il mio viaggio nelle “Philippines” – part 4

Dopo aver passato 6 ore in un supermercato, prendiamo un taxi e ci facciamo portare in un posto (lo conosceva solo John, io andavo dietro di lui e mi fidavo). Sembrava un quartiere malfamato, ma vedevo comunque un po’ di turisti e quindi ero abbastanza tranquillo. Abbiamo aspettato quasi un’ora prima che si palesasse alle nostre spalle una corriera. Sarebbe stata il nostro trasporto verso Banaue, una cittadina nel nord, in piena montagna. Carichiamo le valige e ci mettiamo “comodi”. Ci aspettavano 10 ore di viaggio di notte. Io non ho ancora idea di come sia riuscito a dormirci quasi 3 ore in quel sedile strettissimo, con le strade tortuose, il rumore dell’aria condizionata e mille altre avventure. Sta di fatto che alle 8 e mezza del mattino arriviamo in questa “città” dove ad attenderci c’era un ragazzo con il suo tricycle che ci avrebbe portato al “native village inn”, un piccolo villaggio rustico, ai limiti della città e con una vista pazzesca.

Le uniche cose che siamo riusciti a fare sono state: scaricare i bagagli, farci una doccia e cambiarci. Poi siamo ripartiti con il tricycle alla volta delle risaie di Banaue. Con il ragazzo che ci è venuto a prendere (che alla fine ci ha fatto da guida durante tutta la permanenza), abbiamo visitato i diversi punti di osservazione delle risaie del paese, andando a fare una camminata anche tra di esse. La calzatura adattissima per la situazione, ovviamente, era l’infradito. Il clima umido e piovoso che ci circondava aiutava un sacco a rendere gli scalini e la terra un fantastico scivolo per facilissime cadute. fortunelli noi che non siamo caduti, ma ci siamo stancati assai. A metà strada abbiamo incontrato una signora di quasi 70 anni che risaliva gli scalini in scioltezza, e noi a sputare polmoni tra il riso (non mentre sorridevamo, sia chiaro). Dopo un “late lunch” alle 2 di pomeriggio (comunque mangiando cibi locali, quindi quelli della montagna aka tanta carne e riso del posto), continuiamo a visitare i punti di osservazione delle risaie. Arriviamo all’ultimo e, magia delle magie, si mette a piovere (sono friulano, guai stare senza pioggia).

La giornata si stava per concludere (alle 6 di sera è già buio, quindi si cerca di essere a casa per quell’ora), e prima di rincasare passiamo per il mercato e prendiamo qualche bottiglia di birra, un po’ di carne e verdure da far cucinare. Torniamo al villaggio e dopo un’altra doccia, ceniamo velocemente e ci rechiamo presso il fuoco che hanno accesso dei ragazzi del posto (la temperatura in montagna era migliore, la sera era fresco, ma si stava comunque in pantaloni corti) per bere le birre, mangiare qualche “tapas” (si, lo so che è spagnolo, ma lo usano anche li) e fare nuove conoscenze nel mentre. Dopo aver parlato un po’ con i ragazzi filippini, ci buttiamo a dormire nella nostra capanna (in pratica nel villaggio c’era una zona comune, mentre ogni capanna era una camera da letto) e mentre sono disteso sul materasso (i letti non c’erano, eravamo con i materassi sulle travi di legno che componevano la capanna) ascolto i suoni della natura. tutto un altro mondo rispetto al caos della capitale.

Il giorno successivo conosciamo altri ragazzi che vivono nel nostro stesso villaggio (c’era un canadese, una neozelandese ed un altro di cui non ho capito l’origine) e assieme a noi accolgono la sfida più grande: sopravvivere a Batad.

é un paese interamente immerso tra i terrazzamenti delle risaie e l’unico modo per arrivarci è avvicinarsi con la macchina il più possibile e poi andare a piedi.

è stata la giornata più intensa secondo me. Un po’ perché io sono stupido e un po’ perché abbiamo camminato tantissimo (o forse no, ma c’erano troppi scalini). il motivo per cui sono stupido è che non so organizzarmi uno zaino “per tutti i giorni” quando sono in vacanza. Porto via troppi kg di attrezzatura (soprattutto fotografica) che non uso, ma che all’inizio dico “non si sa mai che serva”, e poi non serve mai. sta di fatto che abbiamo girato per queste terrazzate, visto una cascata incredibilmente enorme (che mai mi sarei aspettato di trovare li) ed incontrato dei bambini che stavano LAVORANDO nelle risaie assieme ai loro fratellini più piccoli. mi sono permesso di scattargli qualche foto perché era una situazione davvero assurda. bambini lasciati li da soli a fare lavori che io considero “da grandi” e loro erano felici! ho visto e poi fotografato alcuni sorrisi che mai avevo visto in Italia. quando vedo o semplicemente ripenso a quei bambini mi si illuminano in testa una frase “meno hai, più dai. più dai, più sei felice”.

Ritorniamo alla macchine e dopo qualche ora di viaggio torniamo al centro del paese, dove prendiamo un po’ di viveri per il falò della notte (era diventato un appuntamento fisso alla fine) e così tornammo in cerchio a raccontarci esperienze e cose di tutti i giorni che per gli uni e gli altri sembravano assurde. quella sera, oltre alle birre, i ragazzi filippini hanno voluto metterci alla prova bevendo il gin (ne bevono un sacco loro) alla “filippino style”. in cosa consiste tutto ciò? si beve un goccio d’acqua tenendolo in bocca, si beve uno shot di gin, si inghiotte e poi si beve un po’ d’acqua. provare per capire la reazione. Dopo aver passato un po’ di tempo così a bere, parlare e ridere, torniamo ai nostri capanni, pronti per una nuova avventura per il giorno dopo.

Sfortunatamente gli altri ragazzi non sono venuti con noi, ma io e John ci siamo diretti a Sagada (con le nostre guide al volante), un paese a 65 km da Banaue. quindi di prima mattina siamo partiti e dopo quasi due ore di macchina (le strade sono abbastanza contorte e ben poco mantenute) siamo arrivati a Bontoc (prima tappa del tour).

In questa città abbiamo visitato un museo dove raccontavano molto bene le origini storiche dei filippini. Difatti la zona montana è quella rimasta più indigena e meno colonizzata. Nelle altre zone invece si nota assai bene la colonizzazione spagnola, giapponese e americana. Abbiamo visto i reperti risalenti a centinaia e migliaia di anni prima, vedendo anche alcune foto degli “head-hunters”, ovvero i cacciatori di teste, tribù locali che uccidevano (e poi mangiavano) i loro nemici ed utilizzavano la loro testa come trofeo da portare al proprio villaggio. La cosa divertente è che questa pratica era ancora usata fino ad una 50ina di anni fa (almeno così mi pare di aver capito).

Dopo esserci acculturati un po’ in questo museo, siamo corsi avanti a Sagada per vedere la nostra effettiva destinazioni. Le “attrazioni” di questa cittadina sono prevalentemente due: le tombe sospese sulla roccia e le grotte. Le prime erano delle bare in legno sospese su delle pareti di roccia. Queste postazioni erano dedicate solo ad alcune persone particolari del villaggio, ovvero i vecchi che morivano e avevano ancora in vita tutta la loro intera dinastia. Era questa l’unica condizione per poter avere la propria salma in quel punto. confesso che era davvero strano vederle li, sorrette da due semplici ferri. 

Successivamente ci siamo recati all’ingresso di una grotta e li si è notata tutta la mia spensieratezza da occidentale. Di grotte ne ho viste un poche in Italia e normalmente erano illuminate, con un “sentiero” calpestatile e protetto, senza alcun tipo di rischio. Ecco. Nelle Filippine non funziona proprio così. Iniziamo la discesa all’interno e ci sono degli scalini in cemento con un corrimano in tubi d’acciaio. Qualche decina di metri dopo il corrimano sparisce, poi spariscono gli scalini in cemento e si cammina sulla roccia, fino a che non sparisce anche la luce. Al che le guide (fortunatamente erano 2) estraggono due torce e ci illuminano il percorso, mostrandoci poi i punti da osservare. Scendiamo ancora un po’ e una guida si ferma dicendoci “Now we have to take off our shoes”. Io sbianco. COSA?? non potevo tornare indietro da solo, c’era troppo buio e la fioca luce del mio iPhone non mi permetteva di vedere nemmeno ad un metro di fronte a me. Non volevo restare da solo fermo in quel punto, quindi decido di seguire questi pazzi. Mi tolgo le scarpe e adagio lo zaino a terra, portando con me solo la Gopro. Iniziamo a camminare scalzi e ho una paura pazzesca di scivolare nel nulla. Camminiamo ancora un po’ ed il suolo sotto i piedi inizia a cambiare. Alla roccia liscia che c’era precedentemente si era aggiunto un corposo strato di roccia calcarea (o forse lavica, sembrava quasi pietra pomice). Questa roccia aveva una caratteristica fantastica: mi faceva sentire spiderman. Potevo arrampicarmi ovunque senza scivolare, pure con l’acqua che mi scorreva sotto i piedi. Pazzesco. Questa credo sia stata una delle esperienze più assurde mai provate nella mia vita. E pensare che il mio problema più grosso era la paura di cadere nel niente. (quando poi l’ho raccontato ai miei amici, loro mi hanno chiesto se non avessi avuto paura di qualche crollo, ma confesso che nemmeno ci avevo pensato) Continuiamo a girare per questa grotta, arrampicandoci su corde posizionate in punti strategici per salire e scendere da alcuni dislivelli di qualche metro.

Raggiungiamo il punto più basso per dei semplici turisti (non siamo speleologi) e torniamo allo zaino e poi alla luce del sole. Dopo questa camminata a me era venuta una fame assurda (erano quasi le 2 di pomeriggio), ma prima di fermarci a mangiare, le nostre guide ci hanno portato all’ingresso di un’altra grotta per vedere una catasta impressionante di bare tutte ammassate una sopra l’altra.

Dopo queste visioni abbastanza tetre, la fame continuava a farsi sentire e finalmente alle 3 del pomeriggio riusciamo ad andare a pranzare. Mangiamo al solito cibo tipico. Poi però John mi racconta di qualcosa di buonissimo del posto: la torta al limone. Corriamo per il paese per una mezz’ora buona alla ricerca di questa famigerata torta, che però devo dire che non era niente di poi così estremamente eccezionale, però era buona e sembrava un po’ a quella che fa anche la mia nonna in Italia. E qui sono iniziati i ricordi al cibo italiano. Quanto mi mancava mangiare un piatto di pasta, un musetto, un buon frico e della buona acqua del sindaco da bere (acqua del sindaco=acqua di rubinetto potabile). Dopo tutta questa sfilza di pensieri torniamo alla macchina con le nostre guide e ci dirigiamo verso il villaggio dove alloggiamo. Dopo qualche ora di viaggio, arriviamo in una zona abbastanza sopraelevata e prima di riuscire ad accorgercene, rimaniamo intrappolati in una enorme nuvola. La strada si vedeva a malapena. John si stava cacando sotto, io ero un po’ abituato alla nebbia della bassa friulana, e sembrava che pure l’autista fosse abbastanza abituato. Decide comunque di fermarsi al primo villaggio per fare un po’ di spese alimentari per il villaggio. Io ovviamente, non sapendo che fare, scatto foto a persone che incrocio in questo stranissimo contesto. Casualmente la guida trova una sua cugina che abitava qualche km prima del villaggio e carichiamo in macchina pure lei.

Torniamo in marcia e la nuvola man mano si allontana, lasciando vedere meglio la stretta ed intricata strada da percorrere. Salutiamo la cugina (io non ho comunque capito una parola di quello che si dicevano. anche se ero straniero nessuno cercava di accennare un minimo di inglese per parlare anche con me, quindi vabbè) e prima di tornare al villaggio ci fermiamo nel paese a prenotare il nostro viaggio per il giorno seguente: 9 ore di van verso Baguio. Prima di pensare al viaggio torniamo al villaggio e come consuetudine ci rechiamo al fuoco per bere e mangiare. per l’ultima sera le guide avevano preso dei bauli da far mangiare a me e agli altri ragazzi che non lo avevano ancora provato. Dopo qualche birretta ricomincia il rito dello sgusciare e poi mangiare questo “uovo sodo”. A me e Matt (il ragazzo canadese) sorge poi l’idea di provare un’altra cosa che avevamo notato in quei giorni: il Moma.

È difficile spiegare bene cosa sia. In pratica è un miscuglio di foglie di tabacco, polvere di una conchiglia, un altra foglia di una pianta che si trova un po’ ovunque ed una sottospecie di “noce” molto filamentosa. Si prendono tutti questi ingredienti, li si ficcano in bocca e poi si inizia a masticare. si mastica un bel po’ e poi in bocca nasce un sacco di saliva. Si sputa (loro sputano davvero tantissimo) e il colore dello sputo, quasi per magia diventa rosso. Credo che questa tecnica equivalga un po’ al masticare le foglie di coca in perù, però devo dire che è stata una bella esperienza parlare con questo blocco di foglie in bocca e sputare ogni 10 secondi. Dopo questa divertentissima cosa, canzoni e qualche birra ci siamo recati al nostro capanno per passare l’ultima notte. 

Per noi la sveglia era impostata alle 5 di mattina, per poter raggiungere il centro per le 8, pronti a salire sul van per Baguio.

Il van era un po’ vuoto e l’autista ci ha concesso un po’ di tempo per fare un ultimo giro. Dopodiché, mentre aspettavamo di bere un caffè con vista sulle terrazzate, John riceve una telefonata e l’autista ci chiama velocemente per partire. Beviamo in fretta e furia un caffè (ovviamente solubile) e corriamo al van. Prima di salire, incrocio lo sguardo di una bambina e non riesco a fare a meno di fotografarla.

Da li inizia il mio tracollo. Ore e ore di viaggio su questo van indemoniato, sfiorando gli 80km/h su delle strettissime ed intricatissime strade montane. il posto a sedere era strettissimo (in realtà sono io ad essere troppo grande) e a dire di John era il migliore che potessimo prendere perché gli altri erano peggiori. Io non sono stato mai così male nella mia vita. Fortuna che ogni qualche decina di chilometri si fermava per una “pausa pipì” in posti inusuali:

Per il resto del percorso però, un mal di macchina mai provato prima. A peggiorare la situazione è stata la sosta per pranzo in un paesino dove il cibo faceva veramente schifo. Ma tanto proprio (lo ha detto pure Jhon!). Per stare meglio ho preso del pollo fritto, ma per mia sfortuna, era freddo. L’ho mangiato lo stesso perché avevo nausea e fame contemporaneamente. Fortunatamente John aveva comprato delle caramelle alla menta così da lenire l’odore di quella carne orribile che avevamo mangiato. Nota speciale di questo posto: il bagno.

Dopo Altre ore di van arriviamo a Baguio. scendiamo dal van e sembrava incredibile sentire il cemento sotto i piedi. Recuperiamo i bagagli e ci dirigiamo in strada alla ricerca di un taxi. il nostro viaggio non era ancora concluso. Riusciamo a fermare il primo che passa (il tipo che guidava era loschissimo e sembrava avesse appena ucciso qualcuno) e saliamo chiedendogli di portarci alla stazione delle corriere. Arrivati, lo paghiamo e cerchiamo un posto in una corriera per poter raggiungere Laoac (paese dove abita la zia di john). Saliamo e ci sediamo in due posti distanti, visto che di vicini non ce ne erano. Io ovviamente ero nel panico perché non capivo una parola di quello che la gente diceva e quindi speravo che nessuno parlasse con me. Mi sono dedicato a guardare un film filippino (nelle corriere con viaggi lunghi, c’è una grande tv sopra il vetro frontale, così che tutti possano guardare il film, ma senza sentirne l’audio) orribile, fino a che non è arrivato il controllore per fare il biglietto che ho lasciato fare al buon amico madrelingua. Dopo quasi due ore John mi avvisa che saremmo dovuti scendere alla fermata successiva e così abbiamo fatto. Mi guardo attorno e siamo in mezzo ad un incrocio enorme. Ad attenderci in un parcheggio vicino c’era un suo cugino (la sono tutti o cugini o zii, sia ben chiaro) con un tricycle (tutti hanno un trycicle). 

Il mio viaggio nelle “Philippines” – part 3

L’aeroporto per i voli interni è abbastanza piccolo, ma comunque affollato di gente. La cosa divertente è che per entrare, mentre sei con valigie e tutto addosso, ti fanno comunque un primo controllo, quindi togli scarpe, cinture, cavi e tutto quello che c’è in tasca. Io sono stato anche veloce, ma John è di una lentezza pazzesca. Non ho mai visto una persona così lenta. La cosa ancora più divertente è che il controllo viene rifatto anche dopo il check in, quindi ho dovuto rispettarlo. Ci siamo messi in una sala ad aspettare assieme ad altre centinaia di persone. Di solito quando si aspetta si sente chiamare “Pinco pallino è richiesto al banco del check in” o cose varie. Ecco. In questo caso pinco pallino ero io. Impanicato prendo e vado con john al banco. In quello tirano fuori lo zaino di John con una scatolina appesa con un moschettone. Lo avevano chiamato solo per tirarlo via. Io lo mando a fanculo (era l’unica cosa che potevo fare) e torniamo a fare il controllo per tornare nella sala ad aspettare il nostro volo. Arriva l’ora di salire e ci dirigiamo nei nostri posti. Dall’alto durante il viaggio riusciamo a vedere solo nuvole e qualche isola. Ma per fortuna appena atterriamo troviamo lei ad accoglierci: LA PIOGGIA.

Da buon friulano non potevo starne senza, e quindi appena saliti sul nostro primo trycicle, ha iniziato a piovere. Un trycicle è una moto con un sidecar tutto coperto. È uno dei mezzi di trasporto più diffuso nelle filippine e ci siamo mossi abbastanza volte con questo “coso” non sicuri di riuscire a tornare a casa (vista la loro precarietà).

Passando per le strade mi accorgo di quanto la situazione fosse diversa dalla capitale e dall’Italia. Povertà in ogni angolo. Case fatte con quattro pali di legno e una lamiera. Con la pioggia che cadeva tutto sembrava abbastanza triste e la cosa mi rattristava un po’.

Una volta arrivati al nostro albergo ci siamo fatti una doccia (oh raga, si suda un sacco la. Piuttosto che puzzare è meglio lavarsi continuamente quando si può). Poi io sono uscito a fare un giro di esplorazione nella spiaggia, mentre John è andato a cercare una lavanderia per i suoi capi sporchi e una palestra (è talmente fissato che pure in viaggio va in palestra).

Girando a vuoto mi sono fatto un’idea di come fosse il paese (perché alla fine era davvero piccolissimo).

La prima sera siamo andati semplicemente a prenotare il tour per il giorno successivo, a cenare in un posticino carino lungo la spiaggia e poi a nanna presto.

The day after (che a dirla tutta era anche il mio 25° compleanno), in attesa del tour C (prenotato la sera prima), ci siamo messi a fare una seconda colazione in un bar, nel quale abbiamo avuto modo di parlare con un ragazzo californiano, anche lui in viaggio tra le isole filippine. Dopo una lunga chiacchierata (non ero preparato ad una cosa del genere, ero super esaltato a parlare così facilmente con chiunque) ci salutiamo e ci dirigiamo presso la spiaggia per partire verso il nostro tour. La spiaggia di El nido era abbastanza piccola ed il golfo stracolmo di barche, sia per turisti che per locali (anche se credo che la maggioranza fosse stata per i turisti). Dopo pochi minuti incontriamo la guida con cui avevamo parlato la sera precedente e ci invita a salire sulla barca. Era grande (la barca. la guida, come tutti i filippini, no), poteva tenere quasi 20 persone, ma nel nostro tour eravamo solo in 12 (molto meglio). Partiamo, ed io, con un po’ di imbarazzo, mi limitavo a guardare John che nel giro di 3 ore aveva già fatto amicizia con tutti i passeggeri e i membri dell’equipaggio (io non ho idea di come faccia quel ragazzo a stare simpatico a tutti così in fretta, ma lo invidio parecchio). Giriamo per diverse ore tra spiagge idilliache, barriere coralline, pesci coloratissimi, rocce appuntite, finché non ci fermiamo e pranziamo sulla barca nei pressi di una spiaggia. Un pranzo squisitissmo in mezzo alle isole filippine su una barca. Ma dove e quando ti capitano esperienze simili in una giornata? (per spiegarci, tutta la giornata in barca, pranzo incluso è costata 20€) 

Continuiamo il nostro tour e continuiamo a girare per le spiagge. Il sole si inizia a farsi sentire prepotente sulla mia schiena, ma io non ce ne faccio (ancora) troppo caso. Torniamo verso il porto di EL nido e salutiamo tutti. John però si è fatto lasciare il numero da due ragazzi indiani, così da poter uscire la sera a bere qualcosa.

E così è stato.

Usciamo a cena e ad un certo punto troviamo i due ragazzi indiani. chiediamo loro che intenzioni avessero  per il giorno dopo, e ci svelano che hanno prenotato il tour A ma con un’altra agenzia. Così andiamo a prenotare anche noi il tour nella stessa agenzia, e qui succede il bello (cosa assurda davvero). Entriamo per prenotare (sono le 21.30 circa) e troviamo dei ragazzi e delle ragazze che mangiano una torta. Chiediamo di poter prenotare un tour e ci dicono di si. Incuriositi chiediamo come mai ci fosse la torta e un ragazzo indica una ragazza e ci dice che è il suo compleanno. John mi guarda. Io lo guardo male (malissimo), ma è troppo tardi. “Ma oggi è anche il suo compleanno!”. Nemmeno il tempo di pronunciarlo che tutti i ragazzi nella stanza iniziano a cantare tanti auguri in inglese. Io imbarazzatissimo, arrossisco. Dopo questo mi porgono una fetta di torta. io nuovamente arrossisco e rifiuto, ma loro insistono e quindi mi tocca accettare. Usciamo da questa agenzia e ricontattiamo i nostri amici indiani. Gli proponiamo di andare a bere qualche birretta e loro accettano. Inizialmente andiamo in un locale tranquillo nel quale riuscivamo a parlare tra di noi. una volta arrivato il momento di pagare, pago io. loro straniti si chiedono perché e io gli spiego che da noi si usa pagare da bere per il compleanno. loro capiscono e per compensare la spesa decidono di andare a bere in un altro locale lungo la spiaggia. io e john eravamo tranquillissimi, gli indiani un po’ meno. erano visibilmente brilli. torniamo al nostro hotel e li salutiamo dandoci appuntamento per il giorno dopo. 

La mattina sveglia rilassante, scendiamo in strada in attesa degli indiani e vediamo uno dei due che camminava come uno zombie (no dai, un po’ meno). il suo amico ci dice che non era abituato a bere e quindi non sta troppo bene. arriviamo alla spiaggia e aspettiamo la barca per il nostro tour. nemmeno il tempo di salire a bordo e il ragazzo che stava male chiede di poter vomitare. Lui poi ha passato le successive 5 ore a dormire. Noi invece siamo tornati tra spiagge pazzesche, lagune nascoste e altre cose assurde. abbiamo guidato dei kayak in mezzo a delle lagune naturali. Scenari surreali, quasi quanto Lignano (si scherza), con una cosa in comune: troppa gente. Posti favolosi con troppi turisti iniziano a perdere il loro fascino intrinseco.

Motivo per cui, dopo essere rientrati a riva, ci siamo diretti presso il primo noleggiatore di motorini e ne abbiamo presi due per il giorno dopo. Con questi motorini (ovviamente si guidava senza casco) abbiamo fatto qualche centinaio di chilometri nella zona nord dell’isola, alla ricerca di posti un po’ meno turistici. Per sicurezza sono partito con ai piedi un paio di scarpe da ginnastica, un paio di pantaloncini corti, ed una felpa. Facciamo i primi chilometri ed un tafano mi punge il ginocchio. Panico totale. “e se mi viene la malaria?” “e se mi crescono i vermi dentro il corpo?” “e se mi si gonfia e mi si imputridisce tutto?” sono il solito paranoico. Si era un po’ gonfiato si, ma poi non è successo niente. Andiamo avanti e proseguiamo lungo queste “fantastiche” strade di cemento e terra, piene di buche, di sassi, di riso, di cani addormentati, bambini e tante altre cose.

Ad un certo punto chiediamo indicazioni per una spiaggia e ci dicono di svoltare alla prima strada a sinistra. la strada era di terra battuta, ma per accederci bisognava attraversare un ponte in legno estremamente affidabile (4 tavole di legno). Inizio a percorrere la strada di terra battuta finché non trovo delle pozze di fango, sempre più grandi, alcune lunghe quasi una decina di metri. che facciamo? acceleratore a manetta e via dentro. Le mie scarpe ed il motorino hanno preso un bel colorito rossastro, come la terra su cui stavamo correndo. “eh – mi dico – ormai vado avanti così”.

andiamo avanti e parcheggiamo i nostri potenti mezzi all’ombra di una palma, ci mettiamo in modalità spiaggia e camminiamo qualche minuto per la “via principale” (che in pratica era la stessa strada di prima, solo che ci hanno messo la sabbia sopra). Giriamo a sinistra e vediamo la spiaggia.

Nacpan (che è il nome della spiaggia).

Credo sia stata la spiaggia più bella in assoluto che abbia mai visto. Sabbia bianchissima, acqua cristallina (meglio di una piscina). Era un paradiso (e lo dico io che adoro la montagna).

Prendiamo un lettino ed un ombrellone (sia io che John eravamo abbastanza ustionati dai giorni precedenti) e ci rilassiamo un po’. andiamo a berci un cocktail con la frutta fresca, ci facciamo dei bagni in mare sfruttando l’andare e il venire dell’ombra delle nuvole per non ustionarci ulteriormente.

Dopo questa rilassante mattinata, riprendiamo i motorini e torniamo sulla strada, fermandoci in un sentiero che portava ad una cascata. Leggiamo il cartello “No guide, no entry” (lo usano spesso, così da obbligarti a pagare una guida per vedere un determinato posto). Quindi chiediamo di una guida, e ci affidiamo nelle mani di una ragazza di 15 anni. È stata la camminata più noiosa in assoluto perché lei e John parlavano tutto il tempo in tagallog (lingua locale) e io non capivo niente. John cercava di far parlare in inglese la ragazza, ma non voleva, per cui continuava a parlare filippino. Quindi io per 2 ore di camminata non ho capito niente. Durante la camminata abbiamo attraversato diverse volte lo stesso ruscello e percorso un intricato sentiero pieno di pantano, tutto ovviamente in infradito (calzatura utilizzata per la maggiore durante le 3 settimane). alla fine della camminata mi sono fatto spiegare solo cosa le aveva detto, capendo che lei scappava da casa per andare a fare la guida in questo posto per racimolare un po’ di soldi per poter sopravvivere. È una cosa abbastanza comune che i ragazzi (ma anche i bambini) cerchino di guadagnare un po’ di soldi facendo lavori qua e la, rinunciando a volte anche allo studio.
Dopo queste notizie, decidiamo di lasciarle una mancia (nonostante non avesse voluto parlarmi in inglese) e proseguiamo il nostro viaggio. Ci muoviamo e ci dirigiamo verso una nuova spiaggia, Las Cabanas.

Quest’ultima è un po’ più turistica delle altre (abbiamo anche riconosciuto due ragazze italiane dal loro piatto di spaghetti sul tavolo), però era davvero caratteristica. Ci siamo seduti al bancone di un bar dove un signore che alloggiava al nostro stesso hotel ci ha riconosciuto e abbiamo parlato un po’. Abbiamo preso un cocktail, salutato il nostro “amico” (li tutti diventano amici subito) e poi ci siamo fatti una camminata alla ricerca di un tramonto. Andiamo nel punto più tattico ed iniziamo ad aspettare. In questa ricerca ci hanno accompagnato un branco di cani randagi (tutti carini e coccolosi, non brutti e sporchi come verrebbe da pensare) che non ne volevano sapere di  andarsene (probabilmente speravano gli dessimo del cibo).

Iniziamo ad aspettare, ma il sole era ancora alto e c’era una grande nuvola proprio davanti al punto dove avrebbe dovuto tramontare. Noi restiamo, i cani scappano via avendo capito che non potevano avere niente da noi oltre le coccole. Aspettiamo ancora e niente, solo un po’ di toni gialli all’orizzonte (che in fin dei conti, non erano comunque male).

Ci arrendiamo solo dopo le 18:00. torniamo verso le nostre moto per paura di dover guidare con il buio (alla fine lo abbiamo fatto lo stesso). Camminiamo a testa bassa non avendo ottenuto quanto sperato, ma camminiamo con la testa così bassa che sull’acqua si intravedono dei riflessi rosati. Mi giro e: WOW.

Un tramonto devastante. Il nuvolone si era interamente colorato di viola, le persone davanti a me erano diventate tutte delle silhouette. sembrava qualcosa di indescrivibile. a dire il vero lo è ancora perché non so descriverlo. sta di fatto che è stato un tramonto fantastico.

Felici di questa visione saliamo sui nostri motorini e torniamo a casa con il sorriso. Il giorno dopo dovevamo svegliarci alle 5 per poter prendere l’unico volo della mattinata per Manila.

Salutiamo El nido andando lungo la spiaggia a bere qualche berretta. John ferma una bambina e compra due uova sode. questo era quello che avevo visto io. lui mi dice che queste “uova” in realtà si chiamano “balut”. Curioso (sbagliatissimo, mai essere curiosi!), chiedo cosa sia. mi spiega che in pratica è (attenzione ai deboli di stomaco) un uovo d’anatra fecondato di 14 giorni bollito. allibito lo guardo e mi obbliga a mangiarlo. Passo 10 minuti a sbucciarlo. lui lo aveva già sbucciato e lo aveva iniziato a mangiare. vedo qualcosa di scuro. mi fa schifo, ma allo stesso tempo ero nelle filippine per provare cose nuove. continuo e alla fine lo mangio tutto in un boccone (mangiarlo metà alla volta avrebbe fatto molto più schifo). curiosi di sapere il gusto? (ovviamente no) era come mangiare un uovo con della carne dentro. stranissimo davvero. per togliere il sapere beviamo ancora delle berrette e mangiamo dei peperoncini fritti.

Andiamo a dormire abbastanza presto con tutte le valige già pronte. l’indomani andiamo alla ricerca di un posto per fare colazione. Alle prime luci dell’alba era tutto chiuso, tranne uno squallidissimo posto. andiamo lo stesso a mangiare, ma io ho fatto LA CAZZATA.
Ci portano il cibo e della “service water”. Io avevo sete e non c’ho pensato troppo, bevo. John mi guarda e mi dice “ma che stai facendo?” ci penso e mi rendo conto. Stupido me. torniamo all’hotel, prendiamo le valigie, saliamo sul tricycle che ci aspettava e partiamo verso l’aeroporto. Una volta arrivati facciamo il check in (la cosa figa è stata il biglietto dell’aereo scritto a mano. bellissimo!) e aspettiamo. Aspettiamo e io devo andare in bagno. L’acqua locale ha fatto effetto e io inizio ad avere problemi di stomaco. due volte in bagno li, salgo in aereo e non ci penso. arriviamo a manila per recuperare i bagagli e torno al bagno. Maledetta “service water”. Mi ricordo che nella mia valigia ho delle medicine contro questi problemi e inizio a prenderle. Fortunatamente aiuta sul serio e inizio a stare meglio. Passiamo la giornata andando a recuperare i bagagli dalla zia di John, girovagando per la città e tornando al mega supermercato per aspettare le 8 di sera.

Cosa aspettiamo?

Il viaggio della salvezza.