Il mio viaggio nelle “Philippines” – part 4

Dopo aver passato 6 ore in un supermercato, prendiamo un taxi e ci facciamo portare in un posto (lo conosceva solo John, io andavo dietro di lui e mi fidavo). Sembrava un quartiere malfamato, ma vedevo comunque un po’ di turisti e quindi ero abbastanza tranquillo. Abbiamo aspettato quasi un’ora prima che si palesasse alle nostre spalle una corriera. Sarebbe stata il nostro trasporto verso Banaue, una cittadina nel nord, in piena montagna. Carichiamo le valige e ci mettiamo “comodi”. Ci aspettavano 10 ore di viaggio di notte. Io non ho ancora idea di come sia riuscito a dormirci quasi 3 ore in quel sedile strettissimo, con le strade tortuose, il rumore dell’aria condizionata e mille altre avventure. Sta di fatto che alle 8 e mezza del mattino arriviamo in questa “città” dove ad attenderci c’era un ragazzo con il suo tricycle che ci avrebbe portato al “native village inn”, un piccolo villaggio rustico, ai limiti della città e con una vista pazzesca.

Le uniche cose che siamo riusciti a fare sono state: scaricare i bagagli, farci una doccia e cambiarci. Poi siamo ripartiti con il tricycle alla volta delle risaie di Banaue. Con il ragazzo che ci è venuto a prendere (che alla fine ci ha fatto da guida durante tutta la permanenza), abbiamo visitato i diversi punti di osservazione delle risaie del paese, andando a fare una camminata anche tra di esse. La calzatura adattissima per la situazione, ovviamente, era l’infradito. Il clima umido e piovoso che ci circondava aiutava un sacco a rendere gli scalini e la terra un fantastico scivolo per facilissime cadute. fortunelli noi che non siamo caduti, ma ci siamo stancati assai. A metà strada abbiamo incontrato una signora di quasi 70 anni che risaliva gli scalini in scioltezza, e noi a sputare polmoni tra il riso (non mentre sorridevamo, sia chiaro). Dopo un “late lunch” alle 2 di pomeriggio (comunque mangiando cibi locali, quindi quelli della montagna aka tanta carne e riso del posto), continuiamo a visitare i punti di osservazione delle risaie. Arriviamo all’ultimo e, magia delle magie, si mette a piovere (sono friulano, guai stare senza pioggia).

La giornata si stava per concludere (alle 6 di sera è già buio, quindi si cerca di essere a casa per quell’ora), e prima di rincasare passiamo per il mercato e prendiamo qualche bottiglia di birra, un po’ di carne e verdure da far cucinare. Torniamo al villaggio e dopo un’altra doccia, ceniamo velocemente e ci rechiamo presso il fuoco che hanno accesso dei ragazzi del posto (la temperatura in montagna era migliore, la sera era fresco, ma si stava comunque in pantaloni corti) per bere le birre, mangiare qualche “tapas” (si, lo so che è spagnolo, ma lo usano anche li) e fare nuove conoscenze nel mentre. Dopo aver parlato un po’ con i ragazzi filippini, ci buttiamo a dormire nella nostra capanna (in pratica nel villaggio c’era una zona comune, mentre ogni capanna era una camera da letto) e mentre sono disteso sul materasso (i letti non c’erano, eravamo con i materassi sulle travi di legno che componevano la capanna) ascolto i suoni della natura. tutto un altro mondo rispetto al caos della capitale.

Il giorno successivo conosciamo altri ragazzi che vivono nel nostro stesso villaggio (c’era un canadese, una neozelandese ed un altro di cui non ho capito l’origine) e assieme a noi accolgono la sfida più grande: sopravvivere a Batad.

é un paese interamente immerso tra i terrazzamenti delle risaie e l’unico modo per arrivarci è avvicinarsi con la macchina il più possibile e poi andare a piedi.

è stata la giornata più intensa secondo me. Un po’ perché io sono stupido e un po’ perché abbiamo camminato tantissimo (o forse no, ma c’erano troppi scalini). il motivo per cui sono stupido è che non so organizzarmi uno zaino “per tutti i giorni” quando sono in vacanza. Porto via troppi kg di attrezzatura (soprattutto fotografica) che non uso, ma che all’inizio dico “non si sa mai che serva”, e poi non serve mai. sta di fatto che abbiamo girato per queste terrazzate, visto una cascata incredibilmente enorme (che mai mi sarei aspettato di trovare li) ed incontrato dei bambini che stavano LAVORANDO nelle risaie assieme ai loro fratellini più piccoli. mi sono permesso di scattargli qualche foto perché era una situazione davvero assurda. bambini lasciati li da soli a fare lavori che io considero “da grandi” e loro erano felici! ho visto e poi fotografato alcuni sorrisi che mai avevo visto in Italia. quando vedo o semplicemente ripenso a quei bambini mi si illuminano in testa una frase “meno hai, più dai. più dai, più sei felice”.

Ritorniamo alla macchine e dopo qualche ora di viaggio torniamo al centro del paese, dove prendiamo un po’ di viveri per il falò della notte (era diventato un appuntamento fisso alla fine) e così tornammo in cerchio a raccontarci esperienze e cose di tutti i giorni che per gli uni e gli altri sembravano assurde. quella sera, oltre alle birre, i ragazzi filippini hanno voluto metterci alla prova bevendo il gin (ne bevono un sacco loro) alla “filippino style”. in cosa consiste tutto ciò? si beve un goccio d’acqua tenendolo in bocca, si beve uno shot di gin, si inghiotte e poi si beve un po’ d’acqua. provare per capire la reazione. Dopo aver passato un po’ di tempo così a bere, parlare e ridere, torniamo ai nostri capanni, pronti per una nuova avventura per il giorno dopo.

Sfortunatamente gli altri ragazzi non sono venuti con noi, ma io e John ci siamo diretti a Sagada (con le nostre guide al volante), un paese a 65 km da Banaue. quindi di prima mattina siamo partiti e dopo quasi due ore di macchina (le strade sono abbastanza contorte e ben poco mantenute) siamo arrivati a Bontoc (prima tappa del tour).

In questa città abbiamo visitato un museo dove raccontavano molto bene le origini storiche dei filippini. Difatti la zona montana è quella rimasta più indigena e meno colonizzata. Nelle altre zone invece si nota assai bene la colonizzazione spagnola, giapponese e americana. Abbiamo visto i reperti risalenti a centinaia e migliaia di anni prima, vedendo anche alcune foto degli “head-hunters”, ovvero i cacciatori di teste, tribù locali che uccidevano (e poi mangiavano) i loro nemici ed utilizzavano la loro testa come trofeo da portare al proprio villaggio. La cosa divertente è che questa pratica era ancora usata fino ad una 50ina di anni fa (almeno così mi pare di aver capito).

Dopo esserci acculturati un po’ in questo museo, siamo corsi avanti a Sagada per vedere la nostra effettiva destinazioni. Le “attrazioni” di questa cittadina sono prevalentemente due: le tombe sospese sulla roccia e le grotte. Le prime erano delle bare in legno sospese su delle pareti di roccia. Queste postazioni erano dedicate solo ad alcune persone particolari del villaggio, ovvero i vecchi che morivano e avevano ancora in vita tutta la loro intera dinastia. Era questa l’unica condizione per poter avere la propria salma in quel punto. confesso che era davvero strano vederle li, sorrette da due semplici ferri. 

Successivamente ci siamo recati all’ingresso di una grotta e li si è notata tutta la mia spensieratezza da occidentale. Di grotte ne ho viste un poche in Italia e normalmente erano illuminate, con un “sentiero” calpestatile e protetto, senza alcun tipo di rischio. Ecco. Nelle Filippine non funziona proprio così. Iniziamo la discesa all’interno e ci sono degli scalini in cemento con un corrimano in tubi d’acciaio. Qualche decina di metri dopo il corrimano sparisce, poi spariscono gli scalini in cemento e si cammina sulla roccia, fino a che non sparisce anche la luce. Al che le guide (fortunatamente erano 2) estraggono due torce e ci illuminano il percorso, mostrandoci poi i punti da osservare. Scendiamo ancora un po’ e una guida si ferma dicendoci “Now we have to take off our shoes”. Io sbianco. COSA?? non potevo tornare indietro da solo, c’era troppo buio e la fioca luce del mio iPhone non mi permetteva di vedere nemmeno ad un metro di fronte a me. Non volevo restare da solo fermo in quel punto, quindi decido di seguire questi pazzi. Mi tolgo le scarpe e adagio lo zaino a terra, portando con me solo la Gopro. Iniziamo a camminare scalzi e ho una paura pazzesca di scivolare nel nulla. Camminiamo ancora un po’ ed il suolo sotto i piedi inizia a cambiare. Alla roccia liscia che c’era precedentemente si era aggiunto un corposo strato di roccia calcarea (o forse lavica, sembrava quasi pietra pomice). Questa roccia aveva una caratteristica fantastica: mi faceva sentire spiderman. Potevo arrampicarmi ovunque senza scivolare, pure con l’acqua che mi scorreva sotto i piedi. Pazzesco. Questa credo sia stata una delle esperienze più assurde mai provate nella mia vita. E pensare che il mio problema più grosso era la paura di cadere nel niente. (quando poi l’ho raccontato ai miei amici, loro mi hanno chiesto se non avessi avuto paura di qualche crollo, ma confesso che nemmeno ci avevo pensato) Continuiamo a girare per questa grotta, arrampicandoci su corde posizionate in punti strategici per salire e scendere da alcuni dislivelli di qualche metro.

Raggiungiamo il punto più basso per dei semplici turisti (non siamo speleologi) e torniamo allo zaino e poi alla luce del sole. Dopo questa camminata a me era venuta una fame assurda (erano quasi le 2 di pomeriggio), ma prima di fermarci a mangiare, le nostre guide ci hanno portato all’ingresso di un’altra grotta per vedere una catasta impressionante di bare tutte ammassate una sopra l’altra.

Dopo queste visioni abbastanza tetre, la fame continuava a farsi sentire e finalmente alle 3 del pomeriggio riusciamo ad andare a pranzare. Mangiamo al solito cibo tipico. Poi però John mi racconta di qualcosa di buonissimo del posto: la torta al limone. Corriamo per il paese per una mezz’ora buona alla ricerca di questa famigerata torta, che però devo dire che non era niente di poi così estremamente eccezionale, però era buona e sembrava un po’ a quella che fa anche la mia nonna in Italia. E qui sono iniziati i ricordi al cibo italiano. Quanto mi mancava mangiare un piatto di pasta, un musetto, un buon frico e della buona acqua del sindaco da bere (acqua del sindaco=acqua di rubinetto potabile). Dopo tutta questa sfilza di pensieri torniamo alla macchina con le nostre guide e ci dirigiamo verso il villaggio dove alloggiamo. Dopo qualche ora di viaggio, arriviamo in una zona abbastanza sopraelevata e prima di riuscire ad accorgercene, rimaniamo intrappolati in una enorme nuvola. La strada si vedeva a malapena. John si stava cacando sotto, io ero un po’ abituato alla nebbia della bassa friulana, e sembrava che pure l’autista fosse abbastanza abituato. Decide comunque di fermarsi al primo villaggio per fare un po’ di spese alimentari per il villaggio. Io ovviamente, non sapendo che fare, scatto foto a persone che incrocio in questo stranissimo contesto. Casualmente la guida trova una sua cugina che abitava qualche km prima del villaggio e carichiamo in macchina pure lei.

Torniamo in marcia e la nuvola man mano si allontana, lasciando vedere meglio la stretta ed intricata strada da percorrere. Salutiamo la cugina (io non ho comunque capito una parola di quello che si dicevano. anche se ero straniero nessuno cercava di accennare un minimo di inglese per parlare anche con me, quindi vabbè) e prima di tornare al villaggio ci fermiamo nel paese a prenotare il nostro viaggio per il giorno seguente: 9 ore di van verso Baguio. Prima di pensare al viaggio torniamo al villaggio e come consuetudine ci rechiamo al fuoco per bere e mangiare. per l’ultima sera le guide avevano preso dei bauli da far mangiare a me e agli altri ragazzi che non lo avevano ancora provato. Dopo qualche birretta ricomincia il rito dello sgusciare e poi mangiare questo “uovo sodo”. A me e Matt (il ragazzo canadese) sorge poi l’idea di provare un’altra cosa che avevamo notato in quei giorni: il Moma.

È difficile spiegare bene cosa sia. In pratica è un miscuglio di foglie di tabacco, polvere di una conchiglia, un altra foglia di una pianta che si trova un po’ ovunque ed una sottospecie di “noce” molto filamentosa. Si prendono tutti questi ingredienti, li si ficcano in bocca e poi si inizia a masticare. si mastica un bel po’ e poi in bocca nasce un sacco di saliva. Si sputa (loro sputano davvero tantissimo) e il colore dello sputo, quasi per magia diventa rosso. Credo che questa tecnica equivalga un po’ al masticare le foglie di coca in perù, però devo dire che è stata una bella esperienza parlare con questo blocco di foglie in bocca e sputare ogni 10 secondi. Dopo questa divertentissima cosa, canzoni e qualche birra ci siamo recati al nostro capanno per passare l’ultima notte. 

Per noi la sveglia era impostata alle 5 di mattina, per poter raggiungere il centro per le 8, pronti a salire sul van per Baguio.

Il van era un po’ vuoto e l’autista ci ha concesso un po’ di tempo per fare un ultimo giro. Dopodiché, mentre aspettavamo di bere un caffè con vista sulle terrazzate, John riceve una telefonata e l’autista ci chiama velocemente per partire. Beviamo in fretta e furia un caffè (ovviamente solubile) e corriamo al van. Prima di salire, incrocio lo sguardo di una bambina e non riesco a fare a meno di fotografarla.

Da li inizia il mio tracollo. Ore e ore di viaggio su questo van indemoniato, sfiorando gli 80km/h su delle strettissime ed intricatissime strade montane. il posto a sedere era strettissimo (in realtà sono io ad essere troppo grande) e a dire di John era il migliore che potessimo prendere perché gli altri erano peggiori. Io non sono stato mai così male nella mia vita. Fortuna che ogni qualche decina di chilometri si fermava per una “pausa pipì” in posti inusuali:

Per il resto del percorso però, un mal di macchina mai provato prima. A peggiorare la situazione è stata la sosta per pranzo in un paesino dove il cibo faceva veramente schifo. Ma tanto proprio (lo ha detto pure Jhon!). Per stare meglio ho preso del pollo fritto, ma per mia sfortuna, era freddo. L’ho mangiato lo stesso perché avevo nausea e fame contemporaneamente. Fortunatamente John aveva comprato delle caramelle alla menta così da lenire l’odore di quella carne orribile che avevamo mangiato. Nota speciale di questo posto: il bagno.

Dopo Altre ore di van arriviamo a Baguio. scendiamo dal van e sembrava incredibile sentire il cemento sotto i piedi. Recuperiamo i bagagli e ci dirigiamo in strada alla ricerca di un taxi. il nostro viaggio non era ancora concluso. Riusciamo a fermare il primo che passa (il tipo che guidava era loschissimo e sembrava avesse appena ucciso qualcuno) e saliamo chiedendogli di portarci alla stazione delle corriere. Arrivati, lo paghiamo e cerchiamo un posto in una corriera per poter raggiungere Laoac (paese dove abita la zia di john). Saliamo e ci sediamo in due posti distanti, visto che di vicini non ce ne erano. Io ovviamente ero nel panico perché non capivo una parola di quello che la gente diceva e quindi speravo che nessuno parlasse con me. Mi sono dedicato a guardare un film filippino (nelle corriere con viaggi lunghi, c’è una grande tv sopra il vetro frontale, così che tutti possano guardare il film, ma senza sentirne l’audio) orribile, fino a che non è arrivato il controllore per fare il biglietto che ho lasciato fare al buon amico madrelingua. Dopo quasi due ore John mi avvisa che saremmo dovuti scendere alla fermata successiva e così abbiamo fatto. Mi guardo attorno e siamo in mezzo ad un incrocio enorme. Ad attenderci in un parcheggio vicino c’era un suo cugino (la sono tutti o cugini o zii, sia ben chiaro) con un tricycle (tutti hanno un trycicle). 

Il mio viaggio nelle “Philippines” – part 3

L’aeroporto per i voli interni è abbastanza piccolo, ma comunque affollato di gente. La cosa divertente è che per entrare, mentre sei con valigie e tutto addosso, ti fanno comunque un primo controllo, quindi togli scarpe, cinture, cavi e tutto quello che c’è in tasca. Io sono stato anche veloce, ma John è di una lentezza pazzesca. Non ho mai visto una persona così lenta. La cosa ancora più divertente è che il controllo viene rifatto anche dopo il check in, quindi ho dovuto rispettarlo. Ci siamo messi in una sala ad aspettare assieme ad altre centinaia di persone. Di solito quando si aspetta si sente chiamare “Pinco pallino è richiesto al banco del check in” o cose varie. Ecco. In questo caso pinco pallino ero io. Impanicato prendo e vado con john al banco. In quello tirano fuori lo zaino di John con una scatolina appesa con un moschettone. Lo avevano chiamato solo per tirarlo via. Io lo mando a fanculo (era l’unica cosa che potevo fare) e torniamo a fare il controllo per tornare nella sala ad aspettare il nostro volo. Arriva l’ora di salire e ci dirigiamo nei nostri posti. Dall’alto durante il viaggio riusciamo a vedere solo nuvole e qualche isola. Ma per fortuna appena atterriamo troviamo lei ad accoglierci: LA PIOGGIA.

Da buon friulano non potevo starne senza, e quindi appena saliti sul nostro primo trycicle, ha iniziato a piovere. Un trycicle è una moto con un sidecar tutto coperto. È uno dei mezzi di trasporto più diffuso nelle filippine e ci siamo mossi abbastanza volte con questo “coso” non sicuri di riuscire a tornare a casa (vista la loro precarietà).

Passando per le strade mi accorgo di quanto la situazione fosse diversa dalla capitale e dall’Italia. Povertà in ogni angolo. Case fatte con quattro pali di legno e una lamiera. Con la pioggia che cadeva tutto sembrava abbastanza triste e la cosa mi rattristava un po’.

Una volta arrivati al nostro albergo ci siamo fatti una doccia (oh raga, si suda un sacco la. Piuttosto che puzzare è meglio lavarsi continuamente quando si può). Poi io sono uscito a fare un giro di esplorazione nella spiaggia, mentre John è andato a cercare una lavanderia per i suoi capi sporchi e una palestra (è talmente fissato che pure in viaggio va in palestra).

Girando a vuoto mi sono fatto un’idea di come fosse il paese (perché alla fine era davvero piccolissimo).

La prima sera siamo andati semplicemente a prenotare il tour per il giorno successivo, a cenare in un posticino carino lungo la spiaggia e poi a nanna presto.

The day after (che a dirla tutta era anche il mio 25° compleanno), in attesa del tour C (prenotato la sera prima), ci siamo messi a fare una seconda colazione in un bar, nel quale abbiamo avuto modo di parlare con un ragazzo californiano, anche lui in viaggio tra le isole filippine. Dopo una lunga chiacchierata (non ero preparato ad una cosa del genere, ero super esaltato a parlare così facilmente con chiunque) ci salutiamo e ci dirigiamo presso la spiaggia per partire verso il nostro tour. La spiaggia di El nido era abbastanza piccola ed il golfo stracolmo di barche, sia per turisti che per locali (anche se credo che la maggioranza fosse stata per i turisti). Dopo pochi minuti incontriamo la guida con cui avevamo parlato la sera precedente e ci invita a salire sulla barca. Era grande (la barca. la guida, come tutti i filippini, no), poteva tenere quasi 20 persone, ma nel nostro tour eravamo solo in 12 (molto meglio). Partiamo, ed io, con un po’ di imbarazzo, mi limitavo a guardare John che nel giro di 3 ore aveva già fatto amicizia con tutti i passeggeri e i membri dell’equipaggio (io non ho idea di come faccia quel ragazzo a stare simpatico a tutti così in fretta, ma lo invidio parecchio). Giriamo per diverse ore tra spiagge idilliache, barriere coralline, pesci coloratissimi, rocce appuntite, finché non ci fermiamo e pranziamo sulla barca nei pressi di una spiaggia. Un pranzo squisitissmo in mezzo alle isole filippine su una barca. Ma dove e quando ti capitano esperienze simili in una giornata? (per spiegarci, tutta la giornata in barca, pranzo incluso è costata 20€) 

Continuiamo il nostro tour e continuiamo a girare per le spiagge. Il sole si inizia a farsi sentire prepotente sulla mia schiena, ma io non ce ne faccio (ancora) troppo caso. Torniamo verso il porto di EL nido e salutiamo tutti. John però si è fatto lasciare il numero da due ragazzi indiani, così da poter uscire la sera a bere qualcosa.

E così è stato.

Usciamo a cena e ad un certo punto troviamo i due ragazzi indiani. chiediamo loro che intenzioni avessero  per il giorno dopo, e ci svelano che hanno prenotato il tour A ma con un’altra agenzia. Così andiamo a prenotare anche noi il tour nella stessa agenzia, e qui succede il bello (cosa assurda davvero). Entriamo per prenotare (sono le 21.30 circa) e troviamo dei ragazzi e delle ragazze che mangiano una torta. Chiediamo di poter prenotare un tour e ci dicono di si. Incuriositi chiediamo come mai ci fosse la torta e un ragazzo indica una ragazza e ci dice che è il suo compleanno. John mi guarda. Io lo guardo male (malissimo), ma è troppo tardi. “Ma oggi è anche il suo compleanno!”. Nemmeno il tempo di pronunciarlo che tutti i ragazzi nella stanza iniziano a cantare tanti auguri in inglese. Io imbarazzatissimo, arrossisco. Dopo questo mi porgono una fetta di torta. io nuovamente arrossisco e rifiuto, ma loro insistono e quindi mi tocca accettare. Usciamo da questa agenzia e ricontattiamo i nostri amici indiani. Gli proponiamo di andare a bere qualche birretta e loro accettano. Inizialmente andiamo in un locale tranquillo nel quale riuscivamo a parlare tra di noi. una volta arrivato il momento di pagare, pago io. loro straniti si chiedono perché e io gli spiego che da noi si usa pagare da bere per il compleanno. loro capiscono e per compensare la spesa decidono di andare a bere in un altro locale lungo la spiaggia. io e john eravamo tranquillissimi, gli indiani un po’ meno. erano visibilmente brilli. torniamo al nostro hotel e li salutiamo dandoci appuntamento per il giorno dopo. 

La mattina sveglia rilassante, scendiamo in strada in attesa degli indiani e vediamo uno dei due che camminava come uno zombie (no dai, un po’ meno). il suo amico ci dice che non era abituato a bere e quindi non sta troppo bene. arriviamo alla spiaggia e aspettiamo la barca per il nostro tour. nemmeno il tempo di salire a bordo e il ragazzo che stava male chiede di poter vomitare. Lui poi ha passato le successive 5 ore a dormire. Noi invece siamo tornati tra spiagge pazzesche, lagune nascoste e altre cose assurde. abbiamo guidato dei kayak in mezzo a delle lagune naturali. Scenari surreali, quasi quanto Lignano (si scherza), con una cosa in comune: troppa gente. Posti favolosi con troppi turisti iniziano a perdere il loro fascino intrinseco.

Motivo per cui, dopo essere rientrati a riva, ci siamo diretti presso il primo noleggiatore di motorini e ne abbiamo presi due per il giorno dopo. Con questi motorini (ovviamente si guidava senza casco) abbiamo fatto qualche centinaio di chilometri nella zona nord dell’isola, alla ricerca di posti un po’ meno turistici. Per sicurezza sono partito con ai piedi un paio di scarpe da ginnastica, un paio di pantaloncini corti, ed una felpa. Facciamo i primi chilometri ed un tafano mi punge il ginocchio. Panico totale. “e se mi viene la malaria?” “e se mi crescono i vermi dentro il corpo?” “e se mi si gonfia e mi si imputridisce tutto?” sono il solito paranoico. Si era un po’ gonfiato si, ma poi non è successo niente. Andiamo avanti e proseguiamo lungo queste “fantastiche” strade di cemento e terra, piene di buche, di sassi, di riso, di cani addormentati, bambini e tante altre cose.

Ad un certo punto chiediamo indicazioni per una spiaggia e ci dicono di svoltare alla prima strada a sinistra. la strada era di terra battuta, ma per accederci bisognava attraversare un ponte in legno estremamente affidabile (4 tavole di legno). Inizio a percorrere la strada di terra battuta finché non trovo delle pozze di fango, sempre più grandi, alcune lunghe quasi una decina di metri. che facciamo? acceleratore a manetta e via dentro. Le mie scarpe ed il motorino hanno preso un bel colorito rossastro, come la terra su cui stavamo correndo. “eh – mi dico – ormai vado avanti così”.

andiamo avanti e parcheggiamo i nostri potenti mezzi all’ombra di una palma, ci mettiamo in modalità spiaggia e camminiamo qualche minuto per la “via principale” (che in pratica era la stessa strada di prima, solo che ci hanno messo la sabbia sopra). Giriamo a sinistra e vediamo la spiaggia.

Nacpan (che è il nome della spiaggia).

Credo sia stata la spiaggia più bella in assoluto che abbia mai visto. Sabbia bianchissima, acqua cristallina (meglio di una piscina). Era un paradiso (e lo dico io che adoro la montagna).

Prendiamo un lettino ed un ombrellone (sia io che John eravamo abbastanza ustionati dai giorni precedenti) e ci rilassiamo un po’. andiamo a berci un cocktail con la frutta fresca, ci facciamo dei bagni in mare sfruttando l’andare e il venire dell’ombra delle nuvole per non ustionarci ulteriormente.

Dopo questa rilassante mattinata, riprendiamo i motorini e torniamo sulla strada, fermandoci in un sentiero che portava ad una cascata. Leggiamo il cartello “No guide, no entry” (lo usano spesso, così da obbligarti a pagare una guida per vedere un determinato posto). Quindi chiediamo di una guida, e ci affidiamo nelle mani di una ragazza di 15 anni. È stata la camminata più noiosa in assoluto perché lei e John parlavano tutto il tempo in tagallog (lingua locale) e io non capivo niente. John cercava di far parlare in inglese la ragazza, ma non voleva, per cui continuava a parlare filippino. Quindi io per 2 ore di camminata non ho capito niente. Durante la camminata abbiamo attraversato diverse volte lo stesso ruscello e percorso un intricato sentiero pieno di pantano, tutto ovviamente in infradito (calzatura utilizzata per la maggiore durante le 3 settimane). alla fine della camminata mi sono fatto spiegare solo cosa le aveva detto, capendo che lei scappava da casa per andare a fare la guida in questo posto per racimolare un po’ di soldi per poter sopravvivere. È una cosa abbastanza comune che i ragazzi (ma anche i bambini) cerchino di guadagnare un po’ di soldi facendo lavori qua e la, rinunciando a volte anche allo studio.
Dopo queste notizie, decidiamo di lasciarle una mancia (nonostante non avesse voluto parlarmi in inglese) e proseguiamo il nostro viaggio. Ci muoviamo e ci dirigiamo verso una nuova spiaggia, Las Cabanas.

Quest’ultima è un po’ più turistica delle altre (abbiamo anche riconosciuto due ragazze italiane dal loro piatto di spaghetti sul tavolo), però era davvero caratteristica. Ci siamo seduti al bancone di un bar dove un signore che alloggiava al nostro stesso hotel ci ha riconosciuto e abbiamo parlato un po’. Abbiamo preso un cocktail, salutato il nostro “amico” (li tutti diventano amici subito) e poi ci siamo fatti una camminata alla ricerca di un tramonto. Andiamo nel punto più tattico ed iniziamo ad aspettare. In questa ricerca ci hanno accompagnato un branco di cani randagi (tutti carini e coccolosi, non brutti e sporchi come verrebbe da pensare) che non ne volevano sapere di  andarsene (probabilmente speravano gli dessimo del cibo).

Iniziamo ad aspettare, ma il sole era ancora alto e c’era una grande nuvola proprio davanti al punto dove avrebbe dovuto tramontare. Noi restiamo, i cani scappano via avendo capito che non potevano avere niente da noi oltre le coccole. Aspettiamo ancora e niente, solo un po’ di toni gialli all’orizzonte (che in fin dei conti, non erano comunque male).

Ci arrendiamo solo dopo le 18:00. torniamo verso le nostre moto per paura di dover guidare con il buio (alla fine lo abbiamo fatto lo stesso). Camminiamo a testa bassa non avendo ottenuto quanto sperato, ma camminiamo con la testa così bassa che sull’acqua si intravedono dei riflessi rosati. Mi giro e: WOW.

Un tramonto devastante. Il nuvolone si era interamente colorato di viola, le persone davanti a me erano diventate tutte delle silhouette. sembrava qualcosa di indescrivibile. a dire il vero lo è ancora perché non so descriverlo. sta di fatto che è stato un tramonto fantastico.

Felici di questa visione saliamo sui nostri motorini e torniamo a casa con il sorriso. Il giorno dopo dovevamo svegliarci alle 5 per poter prendere l’unico volo della mattinata per Manila.

Salutiamo El nido andando lungo la spiaggia a bere qualche berretta. John ferma una bambina e compra due uova sode. questo era quello che avevo visto io. lui mi dice che queste “uova” in realtà si chiamano “balut”. Curioso (sbagliatissimo, mai essere curiosi!), chiedo cosa sia. mi spiega che in pratica è (attenzione ai deboli di stomaco) un uovo d’anatra fecondato di 14 giorni bollito. allibito lo guardo e mi obbliga a mangiarlo. Passo 10 minuti a sbucciarlo. lui lo aveva già sbucciato e lo aveva iniziato a mangiare. vedo qualcosa di scuro. mi fa schifo, ma allo stesso tempo ero nelle filippine per provare cose nuove. continuo e alla fine lo mangio tutto in un boccone (mangiarlo metà alla volta avrebbe fatto molto più schifo). curiosi di sapere il gusto? (ovviamente no) era come mangiare un uovo con della carne dentro. stranissimo davvero. per togliere il sapere beviamo ancora delle berrette e mangiamo dei peperoncini fritti.

Andiamo a dormire abbastanza presto con tutte le valige già pronte. l’indomani andiamo alla ricerca di un posto per fare colazione. Alle prime luci dell’alba era tutto chiuso, tranne uno squallidissimo posto. andiamo lo stesso a mangiare, ma io ho fatto LA CAZZATA.
Ci portano il cibo e della “service water”. Io avevo sete e non c’ho pensato troppo, bevo. John mi guarda e mi dice “ma che stai facendo?” ci penso e mi rendo conto. Stupido me. torniamo all’hotel, prendiamo le valigie, saliamo sul tricycle che ci aspettava e partiamo verso l’aeroporto. Una volta arrivati facciamo il check in (la cosa figa è stata il biglietto dell’aereo scritto a mano. bellissimo!) e aspettiamo. Aspettiamo e io devo andare in bagno. L’acqua locale ha fatto effetto e io inizio ad avere problemi di stomaco. due volte in bagno li, salgo in aereo e non ci penso. arriviamo a manila per recuperare i bagagli e torno al bagno. Maledetta “service water”. Mi ricordo che nella mia valigia ho delle medicine contro questi problemi e inizio a prenderle. Fortunatamente aiuta sul serio e inizio a stare meglio. Passiamo la giornata andando a recuperare i bagagli dalla zia di John, girovagando per la città e tornando al mega supermercato per aspettare le 8 di sera.

Cosa aspettiamo?

Il viaggio della salvezza.

Il mio viaggio nelle “Philippines” – part 2

La partenza è stata relativamente facile. Aeroporto, attese, voli. 

Nessun problema. La cosa assurda è che sto passando quasi un giorno intero in un aereo. 

Sono partito alle ore 15:50 (ora italiana) da Venezia, sto per atterrare a Dubai dopo 6 ore di volo. Farò uno scalo di 3 ore e poi rimarrò in aria quasi 10 ore. 

Mai fatto niente di simile. 

Non so cosa aspettarmi, non so cosa immaginare. 

Sto andando in avanti in “folle”. Lascio che le cose attorno a me accadano e io ne prendo parte. 

La cosa figa del primo volo è il posto finestrino. 

Tramonto pazzesco. Luna riflessa sull’ala dell’aereo e le luci di Dubai dall’alto. 

Ovviamente una foto scattata con il telefono non rende.

Mai visto niente di simile. 

Mi rendo conto da solo che viaggio poco, troppo poco.

Sono atterrato a Dubai. L’aeroporto è immenso. 

Sono stato 20 minuti per passare 2 gate e basta. 

Non capisco con che valuta sono i prezzi nei negozi e nelle macchinette.

Sono cosí scemo che non prendo niente. Non ho fame al momento (sugli aerei emirates danno abbastanza da mangiare ad essere sinceri).

I bagni sono molto meglio di certi che ho visto a Udine e c’è un sacco di gente che lavora alle 2 di notte di sabato nei negozi.

Sto per salire sul secondo e lunghissimo volo e penso: “Sarà divertente dormire in questi aerei.”

Talmente divertente che non ho dormito, ma mi sono visto tipo 10 ore di film in inglese (ovviamente).

Atterro a Clark (un paese al nord di Manila con ha un grande aeroporto internazionale) che ormai è sera. Sono le 19:50 (le 13:50 in Italia) e io sono totalmente sballato. Esco con un trolley e due zaini (maledetta la volta che mi sono portato tutta quella roba). Quello che mi trovo fuori è un’ammasso di gente filippina tutta uguale che sbracciava in cerca di parenti ed amici scesi dal mio stesso aereo. Mi fermo e cerco con lo sguardo il mio amico. Vedo uno che c’assomiglia. Sembra lui ma non ne sono sicuro. Sbraccio in modo che lui mi guardi e mi risponde sbracciando. (bello sbracciare per farsi capire) Mi avvio verso la folla di gente e non lo trovo più. Mi guardo attorno e si avvicina. Io già non capivo niente. 

Prenota un taxi e prima di farmi crollare, mi porta al supermarket più vicino per cambiare dei soldi (1€ = 60 Pesos filippini) e mangiare qualcosa.

15000 pesos, per un ammontare di circa 250€

Fatto questo ci rechiamo alla stazione delle corriere. Un piazzale pieno di gente che urla e grida invitandoti a prendere la corriera loro. Li i trasporti non sono pubblici, ma gestiti da privati, quindi cercano di far salire più gente possibile sulle corriere. E noi pur di arrivare a Manila per le 23 saliamo su una corriera piena facendoci 2 ore e più in piedi.

Curiosità: la temperatura esterna durante tutto l’arco della giornata varia dai 25 ai 35°C, mentre quella interna a qualsiasi spazio chiuso (bar, macchina, corriera, bagno, ecc.) varia tra i 16 e i 18°C. 

Potete ben capire che durante il viaggio sono entrato in una fase di ibernazione temporanea.

Arriviamo a Manila. Prendiamo un altro taxi (piuttosto che guidare una macchina da soli è meglio prendere un taxi. Meno sbatti e lasci guidare chi lo sa fare in quel traffico) e arriviamo alla nostra stanza. Il mio amico aveva già prenotato una camera in un “condominio” nella zona ricca della città per la modica cifra di 40€ a notte (giusto per fare capire cosa vuol dire essere ricchi). Vista spaziale sulla città. Siamo al 33° piano, ma ne abbiamo altrettanti sopra la testa. Ci laviamo e per concludere la giornata ed inaugurare questa avventura, andiamo a bere un cocktail nell’attico del palazzo a fianco il nostro, giusto per vedere bene la città di notte.

Una sola parola: MAESTOSA. 

Vengo da Bertiolo e la città più grande che avevo visto dall’alto finora era Milano.

Vedere Manila di notte è stato.. wow. 

Andiamo a dormire. Il giorno dopo mi sveglio già con l’orario locale, pensavo di non riuscirmi ad abituare.

Scendiamo e andiamo a fare una bella colazione come si deve: riso (con aglio), pollo fritto, uovo, coca cola e caffè. Questo mangiano.

Avevo ancora un po’ di fame, quindi abbiamo fatto una seconda colazione (spesa complessiva per una colazione intera circa 2-3€).

Fatto ciò andiamo a lasciare dei bagagli dagli zii del mio amico (che si chiama John e che chiamerò John perché è più facile). Scopro quindi che gli zii sono titolari di uno studio di massaggi terapeutici. John insiste a farmeli fare. Gli zii ridono perché vedendomi così alto hanno paura che non ci stia. Alla fine ci portano nello studio e ci lasciano nelle mani dei loro dipendenti migliori. Effettivamente gli zii avevano ragione e io non ci sto nei lettini per massaggi (in realtà nemmeno nei letti in Italia). Mi sono sentito un po’ un fenomeno da baraccone, ma poi mi sono abituato. Ci hanno fatto un’ora e mezza di massaggi! Una volta uscito mi sono sentito davvero meglio. Pure più giovane. Camminiamo un po’ per il centro storico della città, inizio a mangiare cibo tipico. Inizialmente ho avuto paura per colpa di tutte le raccomandazioni tipo: “non mangiare cose crude che poi ti viene il cagotto” “non mangiare questo che stai male”. Me ne sbatto e… MI PIACE.

Continuiamo a girare per la città. Andiamo a fare un giro nell’acquario della capitale (immenso) e poi in un SUPERmercato (del tipo Cittàfiera – per i friulani – levati che sono 10 volte più grande di te) e poi ci andiamo a rilassare sul lungomare.

Ormai è sera e decidiamo di fermarci a fare aperitivo. Un aperitivo che è un po’ degenerato e nel quale abbiamo bevuto un po’ troppo, John ha preso ed è andato a cantare qualche pezzo con un gruppo che suonava live (lui è davvero bravo). Alla fine dopo aver preso un altro taxi per tornare a casa (non sono così abituato a prenderli, per me è qualcosa davvero di nuovo!), non sappiamo come siamo rientrati in camera. Ma va tutto bene.
Il girono dopo ci svegliamo e ci dirigiamo verso l’aeroporto.

Next destination: El Nido.